Gratuità e dialogo. Ecco la speranza

Èancora sorpreso della nomina . Reputa il nuovo compito molto bello e molto arduo. Ha accettato dopo approfondita consultazione con la moglie Pina e i due figli Armando e Irene (troppo contenti della proposta). Ha valutato la faccenda anche con il suo vescovo, quello di Nola, e con il padre spirituale. Pensa ai propri limiti personali, ma sta al gioco della Provvidenza di Dio, che si serve in genere delle ruote di scorta . Il 28 maggio, Franco Miano è stato nominato presidente nazionale dell’Azione cattolica dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. In realtà, l’ancora giovane (47 anni) prof. Miano, residente a Pomigliano d’Arco (Napoli), docente di bioetica e filosofia della religione all’università Tor Vergata di Roma, non è affatto una sorpresa in seno all’Azione cattolica. Oltre venti anni fa era già un dirigente nazionale – responsabile dei giovani nel periodo 1986- 1989 – e sino all’assemblea di maggio ha ricoperto il ruolo di vice presidente nazionale e coordinatore del centro studi. Prof. Miano, quando è entrato nell’Azione cattolica? Ricordo bene quel momento. Sono stato invitato a partecipare ad un incontro con altri bambini tenuto da un giovane sacerdote nella mia parrocchia a Pomigliano d’Arco. Era il 1969. Cosa l’attrasse allora? L’elemento comunitario, l’idea di stare insieme con altri ragazzi e insieme giocare, riflettere, formarci. Dopo ho colto altre dimensioni. Quale dimensione l’ha motivata costantemente? La prima è il modo attraverso cui si vive la propria vocazione di laici: rendersi disponibili a vivere la propria missionarietà in quel quotidiano in cui Dio ti ha donato di nascere o di vivere, valorizzando il legame con la parrocchia e con il territorio. E la seconda? La proposta educativa, convinti del valore liberante di un’educazione integrale, di una formazione piena. Questo significa credere in una rivoluzione del cuore e nella carica sociale, non solo personale, dell’educazione, consapevoli che in ognuno c’è un dono da far emergere. Che Azione cattolica eredita? Eredito una bella Azione cattolica e, soprattutto, eredito l’impegno di quello che per me è stato un grande presidente, Luigi Alici. È un’Azione cattolica che, nonostante i tanti limiti che pure la contraddistinguono, è particolar- mente viva, come s’è visto nell’incontro del 4 maggio scorso con il papa a piazza San Pietro. Quali priorità caratterizzeranno la sua presidenza? In associazione sta maturando un cammino interessante di ricerca sul valore della santità. Sappiamo che la chiamata alla santità rappresenta il cuore della vocazione cristiana, ma ci sono momenti in cui questa chiamata va sottolineata con forza. Perché proprio adesso? Vivendo quest’anno il 140° dalla fondazione dell’Azione cattolica, abbiamo ripercorso la storia dell’associazione come una storia di santità: santità note e meno note. Da qui, l’idea di vivere l’anno prossimo come un anno straordinario della santità, in cui, attraverso la riscoperta di una serie di figure, da Armida Barelli a Giuseppe Toniolo, si possa riandare al cuore dei nostri cammini formativi, riscoprendo l’essenziale. ltre priorità? Rispondere all’urgenza di un cammino di formazione interna sempre più caratterizzato dalla Dottrina sociale della Chiesa. Quale criticità dell’attuale Azione cattolica le sta più a cuore? Noi abbiamo un tessuto di responsabili (educatori, animatori di gruppo, presidenti), che rappresenta la colonna portante della vita dell’associazione. Lo sforzo è quello di rendere sempre più corresponsabile ogni aderente per recuperare e rafforzare la presenza capillare dell’Azione cattolica in modo da essere sempre meglio a servizio della Chiesa. Come valuta l’attuale stagione del laicato cattolico associato in Italia? Esprime un’incomparabile ricchezza nella pluralità dei carismi di cui è portatore. Ha preso avvio un cammino che, custodendo le differenze, sta facendo emergere la comune disponibilità ad accogliere il dono della comunione. È molto proficua l’esperienza di dialogo in corso tra associazioni e movimenti e credo vada sviluppata sempre più nella linea della fraternità. Laddove questo cammino è stato significativo, i frutti sono stati sempre notevoli. I suoi contatti con i Focolari? Sono iniziati nella mia diocesi di Nola, dove il dialogo con alcune persone del movimento è stato sempre significativo, caratterizzato anche per la fattiva collaborazione all’interno del consiglio pastorale diocesano. Ho comunque sempre guardato con grande ammirazione alla figura di Chiara, una magnifica testimone per il nostro tempo. È riuscita a creare attorno a sé un movimento non solo ricco per la ramificazione in tutte le realtà e secondo tante dimensioni della vita, ma anche speciale per la testimonianza di unità. Non potrò certo dimenticare che è venuta nel 2003 all’assemblea dell’Azione cattolica, in cui aveva militato da giovane, e che, quando Chiara è morta, sono venuto a portare il saluto dell’associazione. Cosa possono offrire i credenti laici alla Chiesa italiana? Devono saper far risuonare in modo più forte e significativo nella vita della Chiesa la passione per l’uomo contemporaneo, offrendo un patrimonio di relazioni e di vicinanza. E al Paese? Quel profondo senso di unità che caratterizza la vita di molti di loro, presenti su punti diversi del territorio: l’unità nazionale si fa con uno scambio vivo di esperienze. Inoltre, la passione per il bene comune. Cosa la preoccupa maggiormente di questa nostra Italia? Tutte le derive particolaristiche e individualistiche. Mi preoccupano anche la dimensione consumistica che connota la vita di molte persone, un certo appannamento del senso del futuro e la difficoltà a progettare la vita, a riscoprirne finalità e senso. Guardando al nostro Paese cosa la fa sperare? La gratuità di tante persone dedite al volontariato, alla cura degli altri. La gratuità è il vero investimento sul futuro. Poi, tutte le occasioni di dialogo. Dove c’è dialogo, c’è speranza.

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