Grandi Mostre a Roma

Dalla testimonianza dei ragazzi delle scuole capitoline sui viaggi nei luoghi dello sterminio nazista, ai manifesti programmatici delle correnti culturali del secolo scorso

La Capitale ospita in questo periodo una serie di rassegne assai significative. Più per i l contenuto che per la vastità dell’esposizione. Cosa gradevole in un tempo in cui fioriscono mostre di ogni tipo, talora di scarso peso, nonostante la quantità delle opere esposte. Al Palazzo delle Esposizioni ne cogliamo due esemplari.

Testimoni dei testimoni con messa in scena di Studio Azzurro è la prima mostra esperienziale ideata da un gruppo di ragazzi romani che ha partecipato ai Viaggi della Memoria. Ricordare e raccontare Auschwitz, recita il sottotitolo.

Fa impressione, timore e orrore ascoltare le storie degli ultimi sopravvissuti ai campi di concentramento, vedere foto e filmati di quegli anni orribili, scorrere i documenti che parlano di leggi razziali, sperimentazioni scientifiche ai danni degli uomini poveri e innocenti, morti cruente. Una mostra voluta dai giovani che la commentano con animo appassionato, per non dimenticare, in tempi di razzismo crescente e di negazionismo del male. Da vedere. Anche perché chiude il 31 marzo.

Di tutt’altro segno, la video installazione, in tredici schermi, Manifesto di Julian Rosefeldt, fino al 22 aprile. Si passa dal Situazionismo al Futurismo, dall’Espressionismo astratto al Vorticismo, dal Creazionismo, al Suprematismo al Dadaismo, alla Pop Art, all’arte concettuale, al cinema.

Insomma, gli” ismi” degli ultimi decenni in una rassegna impegnativa, stringente, in cui  l’autore tedesco omaggia la pratica novecentesca dei Manifesti con i quali gli artisti distruggevano il passato per difendere una nuova visione dell’arte.

Tredici brevi film di dieci minuti, ambientati in contesti diversi, interpretati quasi tutti, eccetto i l prologo, da una attrice di spessore come Cate Blanchett. Trasformista. Da glaciale a ribelle, da dolce a libera, da folle a rigida, da impenetrabile ad ambigua.

Naturalmente, l’opera si fonda su una laboriosa ricerca di testi storici dei manifesti del primo e del secondo Novecento, cinquanta, per l’esattezza: da Marinetti ad Apollinaire, da Malevic a Kandiskji, da Lars von Trier ad Herzog, solo per citare alcuni nomi. Testi spesso forti, aggressivi, temerari. Confusione, commistione? Questa la prima impressione. Ma poi fermandosi e ascoltando video per video, si avverte come il lavoro sia un collage riuscito del pensiero estetico multiforme del secolo breve, di cui tuttora subiamo l’influenza.

Cosa hanno cercato gli artisti? Questa è la domanda.  Molto hanno cercato, lavorato ed anche sofferto. Non hanno trovato forse ancora la chiave di una nuova bellezza se non in attimi di provocazione o intuizione. Perciò anche l’arte attuale cerca inquieta moltiplicando forme e linguaggi.

Eppure, i tredici filmati possono nascondere cenni di radici profonde, di inquietudini irrisolte insieme ad una fame dell’infinito che è forse l’eredità migliore di quegli anni  per noi e i nuovi ricercatori di verità. Da non perdere.

 

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