Giustizia, quella vera

Q uarantatré anni, originario di Buenos Aires, dopo essere stato per vari anni giudice civile, l’autore di questa testimonianza attualmente insegna anche diritto presso l’Università di Mendoza, città sulle Ande al centro-ovest dell’Argentina. Ancora studente, Oscar fa propri gli ideali di fraternità dei Focolari con una scelta che lo impegna totalmente. Incerto in un primo tempo se rinunciare o no ad una professione che ritiene abbia poco a che fare con l’amore cristiano, presto invece si convince che proprio attraverso di essa potrà esplicare meglio il suo servizio alla società, dandole però un’anima. Dopo la laurea e un periodo trascorso in Italia per formarsi alla spiritualità dell’unità, inizia la sua professione come avvocato, imparando l’importanza dell’ascolto, la pazienza nei processi, l’amore al nemico e la fiducia nella provvidenza in un paese come il mio, che attraversa una grave crisi economica. Prima consulente presso un tribunale d’Appello, dove nel confronto quotidiano coi giudici apporta una visione nuova dei problemi legali, successivamente Oscar vince un concorso e a 34 anni diventa uno dei giudici più giovani dell’Argentina. Ma a questo punto lasciamo a lui stesso la parola. Ci racconta la sua esperienza in materia di diritto di famiglia. Non è facile fare il giudice nel campo famigliare, soprattutto nei paesi sudamericani, dove a causa della situazione sociale un problema di alimenti, ad esempio, può diventare una raccolta in tribunale percomperare un po’ di latte per un bambino malnutrito; dove la disperazione fa litigare due fratelli per l’eredità d’una macchina; o dove le passioni prendono il sopravvento su ogni considerazione patrimoniale. Tuttavia durante questi anni, nella diversità di luoghi e situazioni, ho fatto innumerevoli volte esperienza di una paternità spirituale feconda, e di una giustizia più grande, informata dall’amore. Più volte mi sono trovato a emettere sentenze estremamente delicate: come decidere a chi attribuire la custodia di un bambino. Più volte, anche, mi sono scoraggiato di fronte a una giustizia della legge che sa più di legge che di giustizia. In quei momenti la forza per andare avanti me l’ha data solo la consapevolezza che, come cristiano, la mia missione mi portava ad amare Gesù che rispecchiava le piaghe di una società lacerata a causa delle sue famiglie distrutte. Ogni sentenza civile di solito lascia qualcuno scontento. Ma in materia famigliare questo è ancora più evidente, perché vi gioca un ruolo preponderante l’elemento emotivo. Come regolarsi, allora? A costo di estenuanti ore di lavoro con ripetute udienze, ho cercato di favorire il dialogo tra le parti contendenti prima della sentenza. E ciò per dar loro la possibilità di conoscersi, di sfogarsi, di cercare soluzioni alternative e più giuste rispetto a quelle che la legge riusciva a dare. In tal modo, nonostante le difficoltà, hovisto risolversi tante liti prima di arrivare alla sentenza. Quando questo modo insolito di fare suscitava le chiacchiere di qualche collega, era l’occasione per cercare un rapporto più profondo anche con lui, appartenente ad un mondo dove difficilmente si comunica o si collabora. In tal modo non solo trovavamo insieme le soluzioni migliori, ma anche le dicerie svanivano a poco a poco. Mi sono reso conto inoltre che nessun successo poteva gratificarmi se, isolato nel mio ufficio a dare ordini, non privilegiavo il rapporto anche con l’ausiliare, il cancelliere o l’impiegatol’impiegato della pulizia. Questo comportava, a volte, interessarmi al loro lavoro, oppure ascoltarli nonostante la stanchezza. In fondo anche il tribunale può essere considerato una famiglia per la cui armonia bisogna darsi da fare. Comunque ogni sentenza, per me, doveva essere il risultato non solo di un lavoro intellettuale, ma anche dei momenti di preghiera e di silenzio trascorsi davanti a Gesù eucaristia, l’unico che sapevo veramente giusto. E sempre, come risposta, lui mi ha spinto alla soluzione che favoriva di più la conciliazione ed il dialogo tra le parti. Certo, mi è capitato anche di sbagliare nel decidere, senza poter più tornare indietro. Ma anche abbracciare un fallimento per amore di Cristo è motivo di crescita. Occorre ricominciare sempre, rivedere sempre i propri criteri, ed avere l’umiltà di cambiare, se possibile, decisioni prima prese. La giustizia è nelle mani di Dio, e a volte il suo intervento si manifesta attraverso circostanze imprevedibili. Ricordo in proposito un’udienza con due sposi pronti a divorziare. Dopo aver ricordato loro il dolore che questo avrebbe comportato per l’unica figlia, ho proposto di provare a rinnovare l’ascolto reciproco fino all’udienza successiva. Una domenica mattina ero uscito in tuta sportiva, berretto e chitarra per incontrarmi, come già altre volte, ai giardini pubblici con un gruppo di bambini del movimento, quando mi sono imbattuto proprio in quei due sposi che portavano la figlia a giocare. Dopo uno scambio di saluti, ho continuato a intrattenermi con i miei piccoli amici sotto gli occhi dei due che – ho notato – parlavano fittamente fra di loro mentre la bambina giocava. Al momento di andarcene, li ho salutati ancora. La settimana dopo mi è arrivata una loro comunicazione: non erano più necessarie le udienze, si erano riconciliati, grati per quanto aveva fatto il tribunale. Forse era stata la testimonianza di armonia offerta da quei bambini a con-vincerli dell’importanza di ricominciare ad amarsi. Ad un dato punto, tra i tanti divorzi di cui occuparmi, ho ritenuto in coscienza di doverne rifiutare alcuni che esprimevano una situazione irreale o pregiudiziale per altri. La legge argentina lo prevede, ma nessuno se ne prende carico, e ci si copre col segreto del processo. Sapevo che questo mi avrebbe procurato derisione ed impopolarità, ma non potevo deviare da quella che ritenevo volontà di Dio. Difatti, di colpo, mi sono trovato tanti amici contro: è stata una purificazione, che peraltro ha evidenziato anche gli amici veri, con cui poter costruire un rapporto leale e duraturo. Compresi gli avvocati, rassicurati sul fatto che non mi sarei lasciato influenzare così facilmente nelle decisioni. Oggi quando mi si domanda come sia possibile fare il giudice ed essere cristiano coerente, a me viene invece da domandare come si possa fare questa professione senza ancorarsi al vangelo. Quando le pressioni dei media sono forti e ci si sente disfatti, quando ti offrono denaro o potere… come andare avanti senza rinnovare ogni giorno l’amore esclusivo a Dio e attingere forza dalla comunione con quanti condividono i tuoi stessi ideali? Così ad esempio è avvenuto quando certi giornalisti hanno cercato di farmi dire qualcosa che creasse scandalo. O quando una donna a cui non era piaciuta la mia decisione mi ha qualificato come ladro in tv. Parlare serenamente con gli interessati per arrivare ad un chiarimento è servito alla fine per arrivare alla verità. Da queste esperienze ho ricavato la certezza che il giudice è uno che promuove il dialogo tra gli uomini, che dà la vita perché attraverso il dialogo la società si sollevi al di sopra delle sue miserie. Perciò la sua missione ha tanto più efficacia quanto più profondamente egli coltiva il dialogo con Dio: curando la preghiera e vivendo ogni attimo per lui in ciascun prossimo.

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons