Giorno per giorno – La fame

Si direbbe che le cose non sono cambiate molto in quest’ultimo mezzo secolo. La popolazione è aumentata, la ricchezza pure, ma le sperequazioni non sono diminuite. Le riflessioni che Giordani suggerisce restano di grande attualità.
Illustrazione Paolo Scirpa

Se la gente della “dolce vita” pensasse un po’ a chi ha fame… Secondo Abu Hanifah, studioso dell’Indonesia, «dei due miliardi e 800 milioni di abitanti nel mondo, il cui numero cresce annualmente dell’1,6 per cento, non meno di due terzi vivono nell’indigenza». Tale dichiarazione ha dato un po’ di tono alla campagna del passato luglio per la Libertà dalla fame.

La Fao, con l’incoraggiamento sempre vivo del santo padre Giovanni XXIII, studia ora soprattutto questo problema. Esso è posto da vari fattori negativi. Tra essi, l’incapacità dei popoli arretrati di estrarre dalla campagna le risorse di vitto necessarie, per essere essi ancora privi di macchine, di cultura e di denaro, con cui trasformare la tecnica agricola; e la difettosa distribuzione degli alimenti, per la quale, mentre milioni di creature muoiono di fame, altri milioni dispongono d’una sovrabbondanza (surplus) di prodotti della terra, di cui non sanno che fare: donde una crisi eguale e contraria.

 

Il disagio grave pone dunque problemi di tecnica, di economia, di politica, gravissimi. Colpisce questo fatto (e si capisce l’aiuto chiesto al papa e alla Chiesa): che l’indirizzo iniziale, fondamentale della soluzione sta nella carità. Lo ha detto esplicitamente un economista, il Piettre, parlando come economista e non come cristiano. La carità è l’impulso che mette in moto l’idea e l’azione della solidarietà: la comunione, e cioè la messa in comune, mercé cui chi ha di più passa il superfluo a chi ha di meno (i Padri della Chiesa dicevano che il “di più” degli uni è precisamente il “di meno” degli altri e a questi deve tornare). Si vede che la carità è intelligenza: intelligenza superiore, divina.

 

Ora, se i popoli ricchi, attrezzati, accorrono in aiuto dei popoli sottonutriti e sottosviluppati, fanno opera di carità e insieme di saggezza politica ed economica. Strappando quelle moltitudini alla miseria, le strappano al comunismo, alla rivoluzione, alla guerra: e la guerra si risolve in catastrofe per i ricchi non meno che per i poveri. La carità difatti mette in moto un circuito per cui il bene che si fa torna moltiplicato all’infinito (l’infinito di Dio che è carità) a chi lo fa. Se viceversa si fa il male, anch’esso torna, moltiplicato, nel tempo (guerre, crisi, paura) e nell’eternità.

Igino Giordani

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