Giornalismo, un lavoro per pochi?

Varate le linee guida per la riforma dell’Ordine (del giornalismo e non più dei giornalisti). Cambiano le regole di accesso per professionisti e pubblicisti. Eliminato il praticantato, diventano obbligatori i master post laurea. Ipotizzato un elenco unico della professione, a cui potrebbero accedere anche i pubblicisti.
ANSA/ ETTORE FERRARI

L’accesso alla professione giornalistica sta per cambiare. Riuscire a “strappare” un contratto di praticantato è sempre più difficile e il consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti guidato dal presidente Carlo Verna ha provveduto, il 16 ottobre, a ratificare i cambiamenti adattandoli anche al mondo digitale nel quale oggi si lavora, inviando poi le linee guide della riforma di quello che diventerà l’Ordine del giornalismo al Governo e al Parlamento.

Le redazioni di oggi, per Verna, non sono più le fucine formative di un tempo e non sarebbero capaci di formare i giornalisti del futuro. Ecco perché la soluzione individuata dal consiglio nazionale è quella di consentire l’accesso alla professione attraverso la sola formazione accademica. Attraverso, cioè, il superamento dell’esame professionale dopo un percorso formativo che prevede la laurea e un master di giornalismo.

Le scuole che li organizzano, riconosciute dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (ancora si chiama così) e indicate sul sito, sono 12: 3 in Lombardia, 2 nel Lazio, 2 in Campania, una – rispettivamente – in Piemonte, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Umbria.

Nessuna nel profondo Sud né sulle isole. Poco accessibili ad oggi le rette: 8.500 euro l’anno per accedere al master biennale della Cattolica, 8mila per quello di Bari, 12mila per quello di Bologna, 7mila la storica “Walter Tobagi” di Milano, 21mila per il biennio completo alla Luiss di Roma.

Alcune università hanno stretto degli accordi con le banche per prevedere il prestito agevolato per gli studenti, ad esempio a Bologna, dove la retta di 12mila euro si può pagare in tre rate. Una volta terminato il percorso formativo, dunque, sul modello delle scuole americane, bisognerà lavorare per appianare i debiti.

Ognuno dei corsi attuali è, naturalmente, a numero chiuso: da un minimo 15 a non più di 30 per ogni biennio. Se le cose non cambieranno, i futuri giornalisti andranno davvero a formare una casta chiusa, a meno che non si riesca a trovare una soluzione per garantire un accesso più democratico alla professione. Non bastano a garantire ciò le borse di studio, pure previste, ma insufficienti. Difficile anche pensare al doppio lavoro: la frequenza è obbligatoria e i corsi durano tutto il giorno.

Nelle intenzioni del consiglio nazionale dell’Ordine, le nuove linee guida dovrebbero servire ad eliminare le situazioni di sfruttamento: visti i casi paradossali registrati negli ultimi anni, sembra però difficile che una riforma simile riesca a centrare l’obiettivo. Chi non può permettersi un master di giornalismo, che dovrebbe in qualche modo “garantire” l’accesso al lavoro redazionale, continuerà a ricevere una manciata di euro per gli articoli prodotti. Per eliminare lo sfruttamento servono ben altri provvedimenti!

La laurea, comunque, sarà obbligatoria anche per iscriversi all’albo dei giornalisti pubblicisti. Resta valido il biennio di collaborazione certificata con una testata, ma ogni sei mesi bisognerà presentare all’ordine di appartenenza la documentazione contabile dei pagamenti ricevuti ed il riscontro dei corsi di formazione frequentati.

Al termine dei due anni, il candidato dovrà superare un colloquio sull’ordinamento della professione, con particolare attenzione alla deontologia professionale. Entro due anni dall’entrata in vigore del provvedimento si valuterà se proseguire o meno con le iscrizioni all’elenco pubblicisti oppure optare per un elenco unico.

In questo caso, nel nuovo albo del giornalismo professionale confluirebbero direttamente tutti gli iscritti all’elenco dei professionisti, mentre i pubblicisti verrebbero ammessi una volta superato l’esame di idoneità, “dopo aver seguito un corso di formazione specifico di sei mesi che l’Ordine predisporrà, almeno una volta all’anno, di intesa con il Miur e le Università”.

Si ipotizza, poi, il superamento dell’esclusività professionale, dando la possibilità agli iscritti di “svolgere attività diverse da quella informativa purché non si verifichi un conflitto di interesse con la professione giornalistica e quest’ultima rimanga prevalente”.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons