Gigante dell’impegno sociale

Toniolo sarà beatificato. Proprio mentre i cattolici italiani hanno necessità di riscoprire le loro radici più sane.
Giuseppe Toniolo

Il 14 gennaio 2011 Benedetto XVI ha autorizzato il riconoscimento del miracolo attribuito all’intercessione di Giuseppe Toniolo. La via della beatificazione è così spianata. La sua figura è un faro luminoso in un momento in cui gli italiani (e gli occidentali in genere) sono bombardati e confusi da sollecitazioni politiche e morali contrastanti, e a volte assai squallide, che nulla hanno a che fare con il bene del popolo, vero obiettivo della politica.

Toniolo appartiene ad un’epoca tramontata. Nato a Treviso nel 1845, si laureò in giurisprudenza, insegnò a Padova, poi a Pisa. All’età di trentatré anni, tardi per quei tempi, sposò Maria Schiatti, con cui ebbe sette figli. In famiglia fu un tenero padre, pubblicamente un grande sociologo ed economista. Una di quelle figure di cui l’Italia deve andar fiera.

Fu un laico spinto da una indomita passione per Cristo e da un grande amore per la Chiesa, con la cui gerarchia fu sempre in sintonia. Il vescovo Sorrentino, postulatore della causa di beatificazione, ricorda che Toniolo «invitò tutti i cattolici a non limitarsi all’atteggiamento caritativo assistenziale ma andare alla radice dei problemi, con soluzioni di tipo politico-economico. Mise l’etica davanti alle leggi della finanza». 

 

Visse in tempi turbolenti. L’Italia nel 1861 s’era appena formata come Stato unitario. Erano terminate le glorie e gli ammazzamenti del Risorgimento. C’era un Paese da costruire. Il papa di allora, Pio IX, con il non expedit (non conviene) impose ai cattolici italiani di non partecipare alle elezioni politiche, ma solo a quelle amministrative. Molti cattolici però non stettero con le mani in mano.

Già nel 1875 Toniolo tenne una lezione universitaria su «l’elemento etico come fattore intrinseco delle leggi economiche», proponendo una sociologia che, attingendo all’etica cristiana, influenzasse le leggi di mercato. Un intervento quasi profetico. Poco più tardi queste idee furono riprese dal nuovo papa Leone XIII nella celebre enciclica Rerum Novarum che auspicava un’economia e una giustizia sociale basate sui valori evangelici.

 

Toniolo era un vulcano. Propugnava un’azione decisa dei cattolici in campo sociale per una più incisiva partecipazione all’evoluzione storica di quegli anni, atta a edificare una società a misura d’uomo, secondo il disegno di Dio. S’impegnò a favore del riposo festivo, della limitazione delle ore lavorative, della difesa della piccola proprietà, della tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli.

Nel 1889 fondò l’Unione cattolica per gli studi sociali, nata sulla scia della giovane Azione cattolica. Nel suo trattato di economia sociale proponeva una risposta sia al pensiero marxista sia a quello liberale. Nel 1894 fu uno dei fondatori del movimento Democrazia cristiana per «andare al popolo e aiutarlo non tanto con l’elemosina, che è obbligazione per tutti, ma con gli sforzi ordinati a preparare e mettere in efficienza istituzioni che lo affranchino e lo rendano migliore».

Il suo non fu un impegno politico diretto, ma il suo pensiero influenzò don Sturzo, Rossetti e De Gasperi. Tra i fondatori della Fuci, collaborò alla riorganizzazione dell’Azione cattolica dopo il suo scioglimento. Fu promotore della “Settimana sociale dei cattolici italiani” che fondò nel 1907. Insomma, un gigante dell’impegno sociale.

Morì a Pisa nel 1918 quando si stavano spegnendo i tragici fumi del primo conflitto mondiale. Toniolo aveva compreso che nel concetto di democrazia vengono a «sovrapporsi e collidere» idee fra loro confuse. Capiva che la giustizia sociale senza la carità può diventare pericolosa; che interessi materiali avrebbero adombrato quelli più elevati. Stiamo vivendo oggi questa confusione. Toniolo è una figura operosa e silenziosa. Di quelle che l’Italia suole dimenticare. Di quelle che deve riscoprire, se vuole capire quanta ricchezza c’è tra la sua gente.

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