Gheddafi, un accordo complicato

Berlusconi Gheddafi
Un accordo internazionale, specie dopo anni di confronto o di freddezza tra due Paesi, va sempre salutato come un esito positivo. Ciò premesso, la recente firma dell’intesa tra Italia e Libia si presta ad alcune riflessioni che vanno al di là delle celebrazioni. In primo luogo, il costo dell’operazione: l’Italia (o le imprese pubbliche, come l’Eni) verseranno alla Libia, tra opere infrastrutturali, sminamenti, pensioni e riparazioni varie, circa 5 miliardi di dollari in 25 anni. Le scuse dell’Italia per il passato coloniale Gheddafi le ha accettate, ma accompagnate da un lauto assegno. In secondo luogo, le contropartite sembrano labili. Si è parlato di lotta all’immigrazione clandestina, di collaborazione contro gli sbarchi sulle nostre coste, ma i termini dell’intesa su questo punto sembrano piuttosto aleatori, e comunque è difficile credere che Gheddafi intenda usare metodi garantisti verso i clandestini che attraversano il suo territorio diretti in Europa. Ed intanto ha chiesto all’Italia e all’Europa mezzi per pattugliare le sue acque ma soprattutto tecnologia per sigillare il confine meridionale, quello con il Sahara. In terzo luogo, l’accordo non tiene sufficientemente conto anche delle ragioni degli italiani espulsi dalla Libia nel 1971: essi o le loro famiglie ancora aspettano gli indennizzi, e questo non sembra far parte delle intese. In quarto luogo, il definitivo sdoganamento di Gheddafi, suggellato anche dalla recente visita di Condoleezza Rice a Tripoli, mette tra parentesi ogni ipotesi di evoluzione democratica del regime libico, peraltro non priva di pericoli, visto anche l’affacciarsi sulla scena politica libica di focolai di fondamentalismo islamico, specie nell’area di Bengasi. Infine, il significato risarcitorio per l’occupazione coloniale italiana, che lo stesso Gheddafi ha enfatizzato, innesca un processo rivendicativo che potrebbe creare non pochi imbarazzi ad altri Paesi. Ed infatti la Francia ha già dichiarato che la sua vicenda in Algeria è diversa. Resta su tutto la volubilità e il potere autocratico di Gheddafi, che fa temere che l’accordo non chiuda affatto le controversie italo-libiche, ma anzi rischi di innescare un altro ciclo di rivendicazioni, questa volta persino rafforzate dall’intesa messa per iscritto con Roma. Perché basterà un nonnulla, un ritardo nei versamenti o la violazione di una postilla, perché il leader ricorra alle masse per stigmatizzare la mancata collaborazione dell’Italia. Come al gioco dell’oca, si tornerebbe alla casella iniziale, con l’aggravante che queste involuzioni sono assai costose, e non solo finanziariamente. Ci auguriamo di aver torto.

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