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Gaza, partire dai comuni italiani per fermare la strage

a cura di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Intervista a Paolo Pezzati di Oxfam sull’intollerabile condizione della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza per capire le ragioni di un’iniziativa che chiede il coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali per andare oltre l’aiuto umanitario. Nel frattempo, lo scenario in Medio Oriente prende una piega sempre più pericolosa con il massiccio attacco israeliano all’Iran

GAZA 2025 EPA/MOHAMMED SABER

Quanto durerà il grido quasi unanime di fermare il massacro in atto a Gaza? Come si fa a rimuovere lo sguardo da una tragedia che accade sotto i nostri occhi finora distratti da un flusso indistinto di notizie indistinte? La realtà poi corre più veloce dei commenti come dimostra il fatto che mentre sui quotidiani del 13 giugno 2025 si discute delle probabilità di un attacco israeliano contro l’Iran, l’Ansa informa che «sfidando il monito di Donald Trump e sabotando di fatto i suoi negoziati con Teheran sul nucleare, Israele ha lanciato nella notte una serie di attacchi “preventivi” in Iran contro impianti nucleari e militari, fabbriche di missili balistici e alti ufficiali».

L’apertura di un nuovo fronte da parte del governo di Benjamin Netanyahu fa passare in secondo ordine le domande aperte sul ruolo e la responsabilità dei Paesi occidentali, che hanno stretti rapporti di Israele, in merito a ciò che si sta consumando nella Striscia di Gaza e che molti, senza attendere le conclusioni della Corte penale internazionale, definiscono come crimine di genocidio che, oltre a tutte le polemiche storico culturali, ha una valenza tecnica ben precisa: chiama alla diretta responsabilità chiunque, pur avendone la possibilità, resta inerte di fronte alla commissione di un tale crimine innominabile.

Le chiare parole di Mattarella pronunciate durante la festività del 2 giugno sulle azioni politiche richieste al nostro Paese oltre le condanne formali e le azioni di solidarietà verso la popolazione palestinese che riesce a fuggire da Gaza. È stato accolto a Roma Adam, l’unico superstite tra i 10 figli di una coppia di medici operanti nell’ospedale Nasser di Khan Yunis: un attacco aereo sulla loro casa ha ucciso 9 bambini oltre il padre. Gli resta almeno la madre, la pediatra Alaa al-Najjar che lo ha accompagnato in Italia.

Che fare oltre curare le vittime? Le Ong che svolgono un ‘intensa e continua attività umanitaria non ci stanno a restare silenziose. Una loro delegazione si è recata sul confine di Gaza per chiedere di far passare gli aiuti alimentari alla popolazione stremata, ma, vista la mancanza di volontà del governo di premere su Israele con la sospensione dell’accordo industriale e militare in atto con l’Italia, hanno deciso di rivolgersi  ai «consigli regionali, comunali, provinciali e delle città metropolitane per chiedere di riconsiderare le relazioni in vari ambiti con lo stato di Israele o le amministrazioni locali israeliane».  Qui il link per conoscere i dettagli dell’iniziativa

Tra le 13 realtà promotrici di quest’azione dal basso  non poteva che esserci Oxfam che, presente da tempo a Gaza, ha promosso due carovane solidali dall’Italia sul valico di Rafah per cercare di attirare l’attenzione e rompere il blocco imposto dall’esercito israeliano al transito di aiuti diretti a Gaza.

Abbiamo parlato con Paolo Pezzati, responsabile umanitario di Oxfam Italia,  per capire lo stato della situazione e quindi le ragioni che portano alla richiesta a Regioni, provincie e comuni di essere parte attiva su una questione che chiama in causa la responsabilità anche delle istituzioni locali.

Foto Oxfam

Qual è stato l’obiettivo principale dell’ultima  carovana solidale a Gaza che si è svolta a fine maggio e quali risultati ha ottenuto?

La carovana solidale, organizzata dall’Associazione delle ONG italiane (di cui Oxfam fa parte), Arci e Assopace Palestina, con la partecipazione di parlamentari, europarlamentari e giornalisti, aveva tre obiettivi principali. Il primo era inviare un segnale di solidarietà alla popolazione palestinese, sia in Egitto che all’interno della Striscia di Gaza, un obiettivo raggiunto dato l’ampio eco mediatico nel mondo arabo. Il secondo era esercitare pressione sul governo italiano e sui governi europei affinché cessassero la “complicità” con i crimini in corso a Gaza e ripristinassero l’aiuto umanitario; su questo punto, sebbene il governo italiano abbia leggermente modificato la sua retorica, le politiche concrete non sono state altrettanto efficaci. Il terzo obiettivo, purtroppo non raggiunto, era tentare di entrare nella Striscia di Gaza per avere un contatto diretto con le ONG e la popolazione, ma l’accesso è stato negato a causa della nuova operazione militare israeliana “Carri di Gedeone”.

Come descrive Oxfam la situazione a Gaza in relazione all’assedio e all’occupazione militare?

Oxfam sottolinea che la popolazione di Gaza è vittima di una serie di crimini di guerra contro l’umanità perpetrati dall’esercito israeliano, forza occupante con doveri e obblighi specifici secondo il diritto internazionale.

Le gravissime azioni israeliane negli ultimi 19 mesi, come gli sfollamenti forzati e l’affamamento della popolazione, violano palesemente il diritto umanitario internazionale (che richiede inoltre la distinzione tra strutture civili e militari e proporzionalità delle operazioni). Inoltre, si evidenzia che la situazione attuale è un’amplificazione di un assedio preesistente a Gaza, che dura da 18 anni, non dal  7 ottobre. L’occupazione militare non si limita alla presenza di truppe, ma include il controllo dei confini terrestri, marittimi, aerei e delle telecomunicazioni.

Come viene inquadrato il ruolo di Hamas nell’oppressione della popolazione palestinese nel contesto dell’occupazione di Gaza?

La popolazione palestinese è vittima di un sistema di oppressione con varie origini. Riguardo ad Hamas, occorre avere presente che le ultime elezioni a Gaza risalgono al lontano 2006, e il 66% della popolazione attuale ha meno di 30 anni e quindi non ha votato Hamas. L’organizzazione ha esercitato un’autorità in alcuni campi pubblici all’interno di un contesto di occupazione per “sottrazione”. Oxfam non usa il termine “terrorista” per descrivere Hamas, preferendo parlare di “crimini” (in questo caso, crimini di guerra) in quanto le normative sui crimini sono più oggettive e misurabili rispetto a quelle sul terrorismo, che possono essere soggette a interpretazioni politiche. In questo senso gli eventi del 7 ottobre sono stati una serie di “crimini gravissimi” per i quali i responsabili devono essere perseguiti dalla Corte Penale Internazionale, così come lo devono essere i crimini commessi dall’esercito e dal governo israeliano. La radicalizzazione di Hamas è il frutto del fallimento del processo di pace e della mancanza di speranza.

In che senso Oxfam parla di “complicità occidentale” nella situazione a Gaza, in particolare riguardo all’Italia e all’Europa?

L’Europa può e deve giocare un ruolo più incisivo in quanto primo partner commerciale di Israele. La “complicità” si manifesta nella doppia morale adottata dalla Ue: mentre sono state rapidamente imposte misure restrittive contro la Russia per l’aggressione in Ucraina, lo stesso non accade per Israele nonostante le violazioni dei diritti umani a Gaza siano conclamate. Oxfam propone la sospensione dell’accordo di associazione Europa-Israele, che si basa sul rispetto dei diritti umani, come avvenuto per il regime siriano. L’Italia, sebbene abbia intrapreso azioni positive come le evacuazioni sanitarie, mostra delle contraddizioni sul piano dell’aiuto umanitario.

In che senso?

Pensiamo all’iniziativa “Food for Gaza”, nata in seguito alla campagna di delegittimazione dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente). L’Italia ha sospeso i contributi all’UNRWA e ha cercato di creare un meccanismo parallelo che non coinvolge le ONG locali e si avvale di istituzioni italiane con scarsa esperienza nell’aiuto umanitario internazionale. Il ministro degli Esteri italiano ha dichiarato di aver fatto entrare 110 tonnellate di aiuti da marzo 2024, un quantitativo che oggettivamente è irrisorio (equivalente a meno di quattro tir a pieno carico) ed evidenzia la poca efficacia di tale approccio che è conseguenza del  mancato coinvolgimento delle ONG italiane, che hanno decenni di esperienza e relazioni sul campo.

Che rapporti avete con le organizzazioni della società civile israeliana che lavorano per la pace e i diritti umani?

Da tempo collaboriamo con almeno una quindicina di organizzazioni israeliane impegnate nella difesa dei diritti umani. Tuttavia, anche queste organizzazioni, che rappresentano la minoranza di una minoranza, stanno affrontando politiche restrittive in termini di agibilità. Alcune riforme introdotte dalla Knesset che impongono una tassazione dell’80% sui fondi provenienti da Paesi stranieri. Dato che queste ONG dipendono quasi totalmente da finanziamenti esteri (non riuscendo a ricevere fondi locali), tale legge mira di fatto ad azzerare la loro capacità di sussistenza.  Noi siamo impegnati a lavorare e sostenere queste organizzazioni, ma la situazione sta peggiorando e il dissenso viene soffocato, aumentando la tensione nel Paese.

Quali sono, a vostro parere,  le violazioni in atto del  diritto internazionale?

Secondo il diritto internazionale, una forza occupante come Israele ha doveri e obblighi precisi. Tra questi, vi è l’imperativo di rispettare i principi di distinzione tra strutture civili e militari e di proporzionalità negli attacchi militari. Inoltre, sono vietati sfollamenti forzati e l’affamamento della popolazione. La forza occupante ha responsabilità specifiche per quanto riguarda la dignità, la salute e le iniziative umanitarie della popolazione sotto occupazione.

A partire dalla vostra esperienza diretta,  quanto è “vicino” il Medio Oriente, come altra sponda del Mediterraneo che Giorgio La Pira chiamava nella sua visione profetica “il grande lago di Tiberiade”?

Il viaggio dall’Italia al valico di Rafah, in Egitto, è relativamente breve in termini di distanza geografica. Un volo aereo per l’Egitto dura circa tre ore, ma il tragitto diventa lungo perché occorre al momento intraprendere un successivo viaggio dal Cairo a Rafah attraverso il deserto del Sinai, che è una zona militarizzata, che richiede dalle 5 alle 6 ore. Questo significa che il “Vicino Oriente” è, in realtà, molto vicino all’Europa e all’Italia. Questa prossimità geografica, simboleggiata anche dal Mediterraneo che ci unisce, implica una “corresponsabilità più diretta” da parte dell’Europa e dell’Italia per ciò che accade in quell’area. L’espressione di La Pira coglie perfettamente tale vicinanza e interconnessione che ci interpella ancor più direttamente.

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