Fulminante duetto – Cenerentola Russa

Talenti oggi di culto, l’anglo-pakistano Akram Khan e il belga-marocchino Sidi Larbi Chearkoui sono della stessa generazione, musulmani, ed entrambi coreografi e ballerini. Il primo si è formato alla tradizione indiana Kathak, poi sviluppata nel lessico contemporaneo; il secondo, già ballerino di hip hop, proviene dal teatro-danza di Alain Platel. Lasciate momentaneamente le rispettive compagnie che portano il loro nome, hanno iniziato una proficua collaborazione scambiando e assimilando, nella differenza, il linguaggio l’uno dell’altro. Dal loro sodalizio artistico che afferma la cultura dell’integrazione, dello scambio fecondo, della potenza degli ingegni creativi uniti, è nato un frutto meticcio nel quale scorre linfa nuova: Zero degrees, una creazione struggente e dirompente dove due culture riescono a trovare un concreto e spirituale punto di incontro. Lo spettacolo inizia col racconto di Khan di un viaggio in treno alla frontie- ra tra India e Bangladesh, durante il quale il passaporto sequestrato dalla polizia di confine, e la morte di un viaggiatore la cui vita sembra non valere nulla, diventano la presa di coscienza della caducità dell’essere umano, della violenza in atto verso lo straniero, dell’identità calpestata. All’inizio, seduti a gambe incrociate, raccontano all’unisono, accompagnando le parole con una sincronia di movimenti delle mani che avvia la danza. Veloce, fatta di contorsioni, di rotazioni ipnotiche, di precisione simultanea e individuale, di mani e di braccia – come le sciabolate reciproche in un simbolico e fulminante scontro -, essa diviene dapprima gioco, poi sempre più si carica di paure e tensioni, che si evidenziano quando nel duetto si inseriscono due manichini, calchi di Antony Gormley dall’inquietante fissità, a rappresentare il doppio dei due danzatori. Una specularità destinata a infrangersi davanti alle prevaricazioni e all’arroganza scandita drammaturgicamente dal ritmo della musica di Nityn Sawhney eseguita dal vivo da un trio d’archi e da un cantante indiano dietro un velo trasparente. Si colgono una nitidezza di segno coreografico concreto e astratto, insieme a una potenza di movimenti serrati e poetici, che rendono abbacinante ogni angolo del palcoscenico. E a riempirlo è il magnetismo intimo sprigionato dai due artisti, che soggioga l’anima. Giuseppe Distefano Al Comunale di Ferrara e al Festival Torinodanza CENERENTOLA RUSSA Dopo versioni e rimaneggiamenti più o meno felici della fiaba di Perrault – quella di Mattew Bourne, ambientata durante la Seconda guerra mondiale, di Maguy Marin con tutti i personaggi come balocchi, e quella di Nureyev immersa nella Hollywood degli anni Trenta -, ecco una Cenerentola in versione classica. È quella di Carla Fracci per l’Opera di Roma, che ha ripreso la versione scaligera del ’55 di Alfredo Rodriguez, unita a quella veronese di Loris Gai del ’73, delle quali fu grande interprete. Scritta da Prokofiev negli anni dell’invasione nazista, lo spettacolo presenta, nelle belle scene e nei costumi (di Ezio Frigerio e Franca Squarciapino), contaminazioni visive che vanno dal barocco francese e dalla Belle Époque, al costruttivismo rivoluzionario russo. Nel fastoso alternarsi di scene e fondali spicca anche un’innevata piazza Rossa, mentre la casa della matrigna e delle sorellastre risente della rovina di un’epoca con le sue grigie mura diroccate. Cenerentola è una semplice e sognante creatura che entra con la sua misera valigetta, e in cuore il desiderio di vivere una favola. Nell’apoteosi finale rimane con i vestiti dimessi, dando maggior verità alla semplicità del personaggio. In questa edizione, che risente di un disegno poco unitario e di una presenza eccessiva della stessa Fracci nei panni della Fata, brillano, per fortuna, i protagonisti: la ventunenne pietroburghese Evgenia Obraztsova delicata e sognante, e il napoletano Giuseppe Picone, stella internazionale, principe di impareggiabile tecnica e virtuosismo.

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