Friuli Venezia Giulia, no alla legge sul fine vita

La Terza Commissione, competente in materia di sanità, ha respinto il progetto di legge promosso dall'associazione Luca Coscioni. Un caso che si aggiunge a quello del Veneto, mentre si continua a sollecitare una disciplina univoca a livello nazionale.
La Terza Commissione durante i lavori - foto Agenzia Regione Cronache FVG

Di fatto l’esito del voto era già scritto, e quindi la notizia è circolata senza troppi clamori; ma alla fine anche il Friuli Venezia Giulia, come già il Veneto lo scorso gennaio, ha bocciato la proposta di legge dell’associazione Luca Coscioni denominata “Liberi Subito”.

Con le sue 8 mila firme raccolte e depositate in Consiglio Regionale, il testo mirava a normare l’accesso alle procedure per il suicidio medicalmente assistito: una possibilità riconosciuta dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale in caso di patologie gravi e irreversibili, che richiedano sostegno vitale, e che causino sofferenze “intollerabili” ad una persona in grado di esprimere il proprio consenso. Una possibilità di cui si era avvalsa lo scorso novembre una donna triestina di 55 anni; e il cui caso aveva suscitato parecchio scalpore per quella che era stata definita una “battaglia legale” durata più di un anno, in assenza di una normativa univoca che disciplini la materia.

E in effetti già era stato fatto, proprio a novembre 2023, un tentativo di portare in aula del Consiglio Regionale la proposta di legge in questione; all’epoca però bloccato da un compatto voto contrario della maggioranza, motivato dal presidente regionale Massimiliano Fedriga con un parere dell’Avvocatura dello Stato secondo cui la materia è di competenza nazionale – mentre il collega veneto e compagno di partito, Luca Zaia, aveva ritenuto di applicare la norma secondo cui le leggi di iniziativa popolare vanno esaminate entro sei mesi, unitamente all’urgenza data dalla perdurante assenza di una normativa nazionale.

Ad esprimersi sulla proposta di legge è stata però nuovamente chiamata il 9 aprile la III Commissione Regionale, competente in materia di sanità; in un voto il cui esito era appunto già scritto, date le posizioni note dei singoli consiglieri e la compattezza della maggioranza su questo tema. Il dibattito è stato comunque acceso ed è durato oltre tre ore, a conferma che la materia è delicata e che la necessità di dare una risposta chiara ai malati che già hanno chiesto di accedere alla procedura è molto sentita.

Il dibattito non ha investito solo il suicidio assistito in senso stretto, con le già note argomentazioni pro o contro: sono stati infatti toccati anche i temi come la necessità di garantire le cure – in particolare quelle palliative – ai malati con patologie gravi e irreversibili. La consigliera di opposizione (e medica) Simona Liguori, pur votando a favore del progetto di legge e partendo dal presupposto che «le cure palliative possono tanto, ma non tutto», ha evidenziato infatti che «queste cure non sono garantite in modo uniforme sul territorio, una situazione a cui bisognerebbe porre rimedio»; e ha citato anche i tanti ritardi nella diagnosi e nell’accesso alle cure che le liste d’attesa creano. Tema sollevato anche da altri consiglieri in maniera trasversale agli schieramenti politici, come già fatto anche nella lettera congiunta sul tema dai vescovi del Triveneto.

Nell’intervenire, in ogni caso, l’assessore alla Salute Riccardo Riccardi è tornato sull’argomentazione avanzata a novembre in merito alla competenza nazionale sulla materia: «Non entro neppure nel merito – ha affermato – perché dobbiamo rispettare l’ordine delle cose: quest’aula non ha il diritto di arrogarsi questo tipo di scelta». Argomento sostenuto anche dal consigliere Lirutti: «Sono contrario a questo pdl, ma distinguo la finalità dallo strumento: se parliamo di garantire dignità al fine vita, infatti, chi mai può essere in disaccordo? Ma lo strumento – ha insistito il consigliere di maggioranza – non è buono in quanto un diritto del genere deve essere nelle mani dello Stato: se venti Regioni diverse legiferassero, produrrebbero venti situazioni diverse. L’importante è che non si pensi che chi oggi vota contro il pdl non comprenda la gravità di questo tema».

Le opposizioni, ricordando come sia stata la stessa Corte Costituzionale ad invitare a legiferare sul tema e come già ora si creino disparità, in quanto in assenza di normativa si finisce per decidere caso per caso e potenzialmente in maniera difforme, hanno comunque assicurato che intendono percorrere le vie rimaste a disposizione per riportare la discussione in aula e «garantire risposte a chi attraversa sofferenze intollerabili».

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