L’infinita discussione sul fine vita

Continua a suscitare reazioni il voto avvenuto in regione Veneto. La posizione dei vescovi del Triveneto. Città Nuova ribadisce la sua posizione a favore della vita, ma anche del confronto
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Continua il dibattito sul tema del suicidio assistito, in seguito a quanto avvenuto in quel di Venezia: come abbiamo scritto nell’articolo “Veneto, non passa la legge sul fine vita”, il Consiglio regionale di Palazzo Balbi ha infatti rigettato il progetto di legge regionale sul suicidio assistito – testo che, spiegano i suoi promotori, vuole non già “consentire” il ricorso a questa pratica (cosa già sancita da una pronuncia della Corte Costituzionale), ma definirne tempi e modalità in assenza di una legge nazionale in materia (auspicata dalla stessa Corte).

In seguito alla pubblicazione dell’articolo abbiamo ricevuto una lettera dalla consigliera regionale veneta, Cristina Guarda, che ha spiegato le ragioni che l’hanno portata, da cattolica e da rappresentante delle istituzioni, a votare a favore. Abbiamo poi ricevuto a stretto giro altri commenti e interventi, con diversi punti di vista sulla questione, a testimonianza di come il tema sia sentito. E non mancano nemmeno gli strascichi politici, dato che il voto veneto ha avuto ripercussioni anche a livello nazionale – la più macroscopica in casa Pd, con la richiesta di dimissioni alla consigliera Anna Maria Bigon che si è astenuta.

Va ricordata in proposito anche la lettera dei vescovi del Triveneto, risalente allo scorso ottobre, intitolata «Suicidio assistito o malati assistiti?». I vescovi scrivono che «si rimane molto perplessi di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie»; e sottolineano che «è compito delle Regioni favorire luoghi di confronto e deliberazione etica quali sono i Comitati etici richiamati dalla sentenza stessa della Corte, poco diffusi sul territorio nazionale e spesso fatti intervenire quando tutto è già stato deciso, vanificando la funzione del Comitato stesso o mettendolo di fronte alla ratifica quasi obbligata di decisioni assunte da altri».

I vescovi auspicano anche la promozione di «politiche sanitarie che favoriscano la diffusione della conoscenza e l’uso delle cure palliative, la formazione adeguata del personale, la presenza e l’azione di hospice dove la persona malata in fase terminale trovi un accompagnamento pieno, nelle varie dimensioni del suo essere, cosicché sia alleviato il dolore e lenita la sofferenza. Dispiace, invece, constatare come le cure palliative non siano adeguatamente diffuse e accessibili a tutti, anche nella forma domiciliare, e come vi siano anche differenze tra Regioni che rendono difficile e perciò impraticabile una vera assistenza di qualità, condizione necessaria per una vera alleanza terapeutica in cui il paziente possa sentirsi libero, anche di amare e lasciarsi amare, fino al sopraggiungere naturale della morte che, per il credente, è l’ingresso nella vita piena in Dio».

Una posizione quindi contraria al suicidio assistito ma senza rifuggire il dialogo con tutti, in quanto «le comunità, specialmente quelle cristiane, devono sentirsi stimolate a favorire uno spazio etico nel dibattito pubblico, rispondendo anche a quanto affermato dal Comitato Nazionale per la Bioetica, e a promuovere una coraggiosa cultura della vita. In tali spazi possono trovare eco le domande di molte donne e molti uomini – credenti, non credenti e in ricerca – che abitano come operatori gli ospedali, le case di cura, le RSA e gli hospice e a cui non basta più solo una risposta tecnico-procedurale». (Il testo integrale è disponibile a questo link).

Su questo tema, Città Nuova ha più volte espresso, sulla rivista e sul sito (vedi per esempio qui e qui), la sua posizione a favore della vita e contraria alla riduzione del dibattito sul fine vita a posizioni ideologiche sul diritto (o negazione dello stesso) al suicidio assistito, privilegiando invece un’ottica di comunità che si prende cura delle esigenze del malato terminale e dei suoi familiari (con ricorso anche alle cure palliative); ma mantenendo comunque aperta la comunicazione tra le diverse sensibilità sul tema.

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