Fraternità o solidarietà? Il ritorno di un dibattito antico

A proposito dell'articolo di Stefano Rodotà

Stefano Rodotà si è occupato, con un articolo pubblicato da «Repubblica» (Quella virtù dimenticata, 25 settembre 2012), dell’idea di solidarietà. È un modo per annunciare il Festival del Diritto, di cui lo stesso Rodotà è il direttore scientifico, che si aprirà a Piacenza questo giovedì 27 settembre e che viene dedicato, appunto, a Solidarietà e Conflitti.

In realtà il tema che percorre tutto l’articolo è il confronto tra l’idea di solidarietà e quella di fraternità. È un confronto obbligato, se le due idee vengono messe in opposizione, come fa Rodotà e se si organizza una manifestazione come quella di Piacenza, che sembra optare, da quel che annuncia il titolo, per la solidarietà. Si deve infatti tenere conto del crescente interesse che si è manifestato, negli ultimi anni, verso il tema della fraternità, come testimoniano numerose pubblicazioni di livello accademico, fatte da studiosi di sensibilità e orientamenti diversi: la fraternità vi è presa in considerazione non come legame famigliare, di sangue, ma nella sua dimensione pubblica, in particolare come principio di rilevanza giuridica e come categoria politica[i].

Bene ha fatto dunque Stefano Rodotà ad affrontare l’argomento con questo interessante articolo, che espone essenzialmente due tesi. La prima è che la solidarietà sarebbe da preferire alla fraternità in quanto quest’ultima appare «troppo intrisa di religiosità»; nel corso della storia sarebbe avvenuto un passaggio verso la solidarietà, realizzando così una “laicizzazione” dell’idea di fraternità, alla quale avrebbe dato un fondamentale contributo il “sentire socialista”. La seconda tesi è appunto la sottolineatura del ruolo del movimento socialista nell’affermazione dell’idea di solidarietà, anche in riferimento all’articolo 2 della Costituzione, dove si menzionano i «doveri inderogabili della solidarietà»: secondo Rodotà non si può attribuire al solo pensiero cattolico la centralità che la solidarietà acquisisce nella nostra Costituzione.

Le due tesi corrispondono dunque a due preoccupazioni di Rodotà: che si parli di solidarietà e non di fraternità; che si ridimensioni il ruolo dei cattolici rispetto alla solidarietà.

 

Questo confronto tra fraternità e solidarietà non è nuovo. Il tentativo di sostituire l’idea di fraternità con quella di solidarietà è presente nel dibattito politico francese della seconda metà dell’Ottocento e raggiunge il suo culmine con la teorizzazione del “solidarismo” politico, che ha avuto tra i suoi maggiori rappresentanti Léon Bourgeois, autore, nel 1896, del libro Solidarité. Bourgeois, che sarà il primo presidente della Società per le nazioni e Premio Nobel per la pace nel 1920, era un esponente del partito radicale, autodefinentesi “socialista liberale”; divenne Presidente del Consiglio nel 1895 e diede vita ad un gabinetto con forte presenza di ministri appartenenti, come lui, al Grande Oriente di Francia. In generale, lungo l’arco di due-tre decenni, l’idea di solidarietà si impose e venne presentata all’opinione pubblica come vantaggiosa rispetto a quella di fraternità; anzitutto perché poteva assumere, per la mentalità positivista del tempo, una apparenza di scientificità, come interprete dei legami oggettivi di interdipendenza esistenti tra gli uomini nella società, mentre la fraternità veniva inserita in un ambito più soggettivo e affettivo; sembrava, inoltre, più facilmente utilizzabile come principio giuridico, mentre la fraternità si faceva valere soprattutto come dovere morale; infine, ed è l’argomento presentato ancora oggi da Rodotà, la solidarietà permetteva – almeno apparentemente – di conservare i contenuti della fraternità, tagliandone però i suoi legami con la sfera religiosa dalla quale proveniva: sembrava prestarsi meglio, di conseguenza, ad ispirare una azione civile e pubblica, di carattere non confessionale.

È da sottolineare che la storia di Francia ha provveduto a superare tutte queste obiezioni, confermando la fraternità come parte integrante del trittico che la unisce alla libertà e all’uguaglianza e facendone un principio di riferimento del suo diritto pubblico vigente, come dimostra ampiamente lo studio di Michel Borgetto[ii]; e la Francia è un Paese che notoriamente applica una separazione netta tra la dimensione religiosa e quella civile ed istituzionale. Ritirare fuori l’obiezione che la fraternità sarebbe un concetto religioso ci farebbe dunque ritornare al dibattito – ampiamente superato e risolto – dell’Ottocento. L’obiezione appare anche priva di significato scientifico, mantenendone invece solo uno polemico. È evidente che la fraternità è un’idea di origine religiosa; e questo vale non solo per la religione cristiana, ebraica, islamica, ma anche per quella degli antichi Egizi, per gli Irochesi, per i Piaroa dell’Orinoco. Gli studi etnologici e di antropologia culturale ci attestano che tutte le grandi idee relazionali di cui l’umanità contemporanea fa uso hanno origine nelle narrazioni originarie (mitologie) di carattere religioso. Dire che la fraternità ha un legame con la religione è dire un’ovvietà. Ciò che ci deve interessare sono i contenuti culturali che queste idee di origine religiosa hanno trasmesso alle culture viventi, contenuti che si sono arricchiti e modificati nel corso delle esperienze storiche e che vengono assunti e vissuti indipendentemente dalla loro origine religiosa e dai sacerdoti, druidi o sciamani che ce li hanno trasmessi. Se le religioni dalle quali provengono i contenuti fraterni sono ancora vive e se esse continuano a nutrire la società con i loro contributi, questo costituisce un arricchimento, non un problema, dato che, nello spazio pubblico, gli elementi di fraternità vengono presi in considerazione per i loro aspetti civili e non per le eventuali motivazioni religiose che li producono.

Ancora, si tenga presente che le perplessità nei confronti della fraternità non sono appartenute, storicamente, soltanto al campo “progressista”: le troviamo anche – ma è solo un esempio fra i molti possibili – in un’importante opera collettiva di ispirazione conservatrice, quale fu il Dizionario generale di politica di Maurice Block (1873). Essere a favore o contro l’uso della fraternità come principio di riferimento della vita pubblica non colloca dunque, automaticamente, né da una parte né dall’alta degli schieramenti politici del passato e del presente.

 

L’utilizzo dell’idea di fraternità non è affatto semplice. Nel corso della storia recente essa ha subito diverse interpretazioni distorcenti. Pensiamo alla fraternità trasformata in ideologia nazionalistica, utilizzata per descrivere una “Nazione di fratelli” che dà vita ad uno Stato aggressivo nei confronti degli altri. O alla fraternità intesa come legame settario tipico di organizzazioni quali la massoneria. O alla fraternità come legame di classe, usata per definire un nemico da distruggere: tutte interpretazioni, queste, che hanno l’effetto di escludere, di definire un’appartenenza comunitaria di tipo privilegiato o antagonista; interpretazioni che negano un elemento essenziale dell’idea di fraternità, indispensabile per dare fondamento ad un orizzonte di democrazia e di pace: quello di essere un legame tendenzialmente universale, che riconosce a tutti gli esseri umani la medesima dignità.

Perché allora, nonostante queste oggettive difficoltà, la fraternità si impone nuovamente nel dibattito pubblico? Credo che questo sia dovuto alla ricchezza del suo stesso concetto: la condizione fraterna, nel significato della sua origine famigliare che costituisce la nostra prima esperienza di essa, è una relazione tra pari, tra esseri umani che vengono dagli stessi genitori e che, per questo, vivono in condizione di uguaglianza; e che, contemporaneamente, sono tra loro diversi e questa diversità è riconosciuta e rispettata, per cui vivono in condizione di libertà. La fraternità è dunque la condizione per la libertà e per l’uguaglianza: il trittico della Rivoluzione francese, liberté, égalité, fraternité, trasferisce questa condizione esistenziale umana dall’ambito della famiglia a quello della società; il trittico rivoluzionario, storicamente, osa l’inosabile, volendo trasformare una condizione di privilegio riservata a pochi in una condizione universale di cittadinanza. Ecco perché i tre principi, libertà, uguaglianza, fraternità, possono essere considerati, insieme, come le “categorie del politico”, come una sintesi del progetto politico irrealizzato della modernità. Gli studi dell’ultima generazione non intendono semplicemente “recuperare” la fraternità ma, attraverso una nuova attenzione per l’intero trittico, offrono importanti contributi al dibattito contemporaneo sui fondamenti della democrazia e sulle vie per realizzare più pienamente il suo progetto politico. In questo senso, riproporre oggi la “solidarietà” come se fosse una scoperta nuova e ostentando di ignorare il dibattito internazionale che si è sviluppato su questi temi, lascia fortemente perplessi.

Emergono qui due caratteristiche fondamentali che qualificano la fraternità politicamente. La prima, che la differenzia radicalmente dalla solidarietà, è la sua orizzontalità: i fratelli non accettano rapporti di subordinazione ma interpretano se stessi, sempre, come pari, anche se hanno ruoli diversi. Al contrario la solidarietà, come viene comunemente intesa e praticata, può consentire anche relazioni verticali, di aiuto da parte del forte verso il debole; è chiaro che la solidarietà così intesa può essere usata per mantenere il debole nella sua condizione subordinata, dandogli l’aiuto sufficiente a garantire che egli non si ribelli. La solidarietà non mette in questione la relazione di potere; la fraternità, al contrario, non può non farlo. Lo stesso uso della solidarietà come “solidarietà orizzontale” appartiene ad una prospettiva recente, ispirata proprio dalla nozione di fraternità. La seconda caratteristica consiste nel fatto che la relazione fraterna mi fa prendere atto che esiste un altro, diverso da me, che ha strettamente a che fare con me – siamo, insieme, società – e che ha i miei stessi diritti; non dispongo di lui, non posso cambiarlo, devo accettarlo nella sua differenza e nel suo diritto di viverla e di svilupparla. In questo senso, la fraternità è il fondamentale principio di realtà, quello che stabilisce la verità di fatto senza la quale, come sottolinea Hanna Arendt, non c’è società politica.

 

Ho accennato ad un progetto politico irrealizzato; le sue possibilità si chiusero infatti poco dopo il suo annuncio: la fraternità, appena enunciata dalla Rivoluzione francese, cade ben presto, essenzialmente per due motivi. Il primo: la Rivoluzione si trasforma in guerra civile sempre più cruenta; al posto della fraternità si attuano i processi di “fraternizzazione”, con i quali i sanculotti impongono con la violenza il loro controllo sulle altre organizzazioni politiche: il grido “Fraternità o morte”, che inizialmente esprimeva la disponibilità a dare la propria vita per la causa della Rivoluzione diventa, spiega lo storico Alphonse Aulard, la propensione a prendere la vita degli altri: «Sii mio fratello o ti ammazzo»[iii]. Il secondo: la Francia rivoluzionaria mantiene in piedi l’economia schiavistica nelle sue colonie; i diritti dell’uomo e del cittadino proclamati a Parigi valgono per i bianchi ma non per i neri e la Grande Rivoluzione entra in contraddizione con se stessa.

La fraternità dunque cade; non perché sia, dei tre principi del trittico, il più fragile, come suggerisce Rodotà, ma perché cade il trittico intero: libertà, uguaglianza e fraternità avevano assunto significati nuovi proprio attraverso la loro relazione; una libertà fraterna non sarebbe mai degenerata nell’arbitrio della legge del più forte; né un’uguaglianza fraterna avrebbe prodotto sistemi sociali simili a carceri. Ed è invece proprio ciò che è accaduto nella storia dei due secoli successivi, quando la libertà e l’uguaglianza si sono separate e contrapposte, dando vita a sistemi socio-economici conflittuali. Non è strano allora che oggi si voglia riprendere la riflessione sulla fraternità: è, in realtà, una riflessione sull’intero trittico, è l’esigenza di riprendere in mano, con diversa consapevolezza ed esperienza, il progetto politico che voleva mettere insieme la libertà e l’uguaglianza attraverso la fraternità.

Che la fraternità abbia questo ruolo di “generatore” degli altri due principi lo si vede lungo tutta la storia del Novecento: quando sono venute a mancare la libertà e l’uguaglianza, i popoli sono sempre ripartiti dalla fraternità. Passato il momento del “solidarismo”, la fraternità ha continuato ad ispirare il pensiero della democrazia. Basti ascoltare le parole della Resistenza italiana o del Maquis francese, per udire completamente dispiegato il linguaggio della fraternità: è con quello che siamo usciti dalla guerra e dall’oppressione nazifascista. Viceversa, la fraternità non può agire come principio pubblico senza libertà e uguaglianza: ricadrebbe nelle sue possibili degenerazioni settarie, privatistiche, fondamentaliste.

La fraternità come categoria di pensiero nello spazio pubblico non è, dunque, una facile soluzione ai problemi politici attuali; ma è certamente uno dei luoghi nei quali cercare le soluzioni. Accantonare la fraternità e la sfida che essa rappresenta significherebbe rinunciare a guardare la complessità del nostro tempo, che ci chiede di uscire dalle eredità ideologiche che ancora ingombrano il campo della democrazia, per riuscire ad essere, insieme, sia liberi che uguali.



[i] Alcune opere, limitandoci alle italiane e alle più recenti: A. Mattioni – A. Marzanati (Edd.), La fraternità come principio del diritto pubblico, Città Nuova, Roma 2007; A.M. Baggio (Ed.), Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007; I. Massa Pinto, Costituzione e fraternità. Una teoria della fraternità conflittuale: “come se” fossimo fratelli, Jovene, Napoli 2011; F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità. Itinerario di ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Città Nuova, Roma 2012; A. Cosseddu, L’orizzonte del diritto «luogo» delle relazioni, in A.M. Baggio (Ed.) (con A. Cosseddu, P. Giusta, R. Mardones, A. Márquez Prieto), Caino e i suoi fratelli. Il fondamento relazionale nella politica e nel diritto, Città Nuova, Roma 2012.

[ii] M. Borgetto, La notion de fraternité en droit public français. Le passé, le présent et l’avenir de la solidarité,Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence, Paris 1993.

[iii] F.A. Aulard, La Devise «Liberté, Égalité, Fraternité», in Études et leçons sur la Révolution Française, Sixième Série, Paris 1910, p. 23.

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