Fiori del mio giardino

Francesco Ripenso a certi ragazzi tristi e spenti, perché non sanno cosa sia un affetto, un sorriso, una parola di incoraggiamento. Ne ho conosciuti che si sentono traditi, incompresi, abbandonati a sé stessi, mentre attraversano il mare in tempesta della loro età. Francesco, ad esempio. Viene al catechismo accompagnato dalla nonna, più spesso però da uno zio giovane ma dall’aspetto malato, tipico di chi si droga. Francesco subito si rianima: sta bene con tutti e tutti gli vogliono bene. Terminata la catechesi, mentre gli altri se ne vanno in compagnia dell’uno o dell’altro genitore o di ambedue, venuti a prelevarli, Francesco rimane lì nel cortile da solo. Per fortuna nella nostra comunità parrocchiale vi sono mamme sensibili come Rita, che all’ennesimo episodio del genere lo prende in consegna e gli tiene compagnia, facendolo giocare. Passa il tempo e siccome all’orizzonte non si vede nessuno Rita ed io proponiamo a Francesco di telefonare a casa sua. Ma il ragazzo, risoluto: No, perché mamma non c’è. E tu come fai a saperlo? È passato tanto tempo: ormai sarà tornata.Ma lui insiste con più forza: No, io lo so: è dal fidanzato. Rita ed io rimaniamo ammutoliti. Vengo poi a sapere che la mamma di Francesco si è invaghita di un giovane invischiato nella droga, che inizialmente presumeva di aiutare, finendo purtroppo lei pure nel giro. Una vera tragedia! Per procurarsi la roba, dopo aver venduto gli oggetti di valore, è pas sata alle cose più comuni: perfino abiti, stoviglie… L’anziana madre ne muore di crepacuore. Lei, testarda, va avanti per la sua strada. Non si arrende neanche dopo un ricovero in ospedale o quando ora lei, ora il fidanzato, finiscono in galera. Abbandonato dalla mamma e senza più la nonna, Francesco finisce per essere privato anche del calore della comunità parrocchiale, degli amici: ora infatti è ospitato in un istituto insieme ad altri bambini sfortunati. Caro Francesco, spero che tu abbia trovato lì quell’affetto che ti sono mancati in famiglia. Tu guarda sempre avanti con fiducia. Nonostante tutto, sono certo che la vita ha in serbo per te tante belle sorprese. Miriam È una quattordicenne appannata dalla tristezza. A tratti ha qualche gesto di stizza. Quasi evita di guardarmi. Articola parole senza senso. Quanto a me taccio per essere solo ascolto; mi faccio vuoto assoluto perché lei trovi spazio. Parto da lontano: amichevolmente le chiedo: come ti chiami? da dove vieni? cosa fai? Le sue sono risposte brevi, impacciate, un po’ puntigliose, quasi a dirmi: che ti importa? Io però non mollo: com’è la tua famiglia? vai a scuola? hai amici? Grazie a Dio non mi manca la battuta facile, e questo comincia un po’ a scioglierla; come se aspettasse il momento di scaricare la piena che ha nel cuore, mi fissa negli occhi (finalmente!). Miriam abbozza un sorriso. Ormai la strada è aperta al dialogo: Mia cara – le dico -, ora il tuo volto è illuminato. Sorridi, sorridi ancora. Lei si sforza di farlo, ma ad un tratto scoppia in un pianto liberatore. La incoraggio, finché tra le lacrime e il sorriso, la ragazza si confida: Non ce la faccio più, mi sento sola ed incompresa. Non so più perché vivo…. Il suo dolore si trasferisce in me, soprattutto quando si rammarica di aver tentato il suicidio senza esservi riuscita. La povera ragazza deve gestirsi da sola la sua giornata, in quanto mamma e papà lavorano entrambi. Miriam, tornata a casa dalla scuola, trova già tutto pronto… ma in frigo. Il pomeriggio per lei è troppo lungo: studio, televisione, qualche telefonata… A sera poi, i genitori, già stanchi dal lavoro, sono presi dalle mille cose da farsi. E la vita di famiglia? Quella sera però, profittando di una pausa nel tran tran, Miriam è riuscita a sfogarsi un po’ con loro; Sono tanto triste perché mi sento sola. Per me non c’è mai nessuno. I genitori però, l’hanno aggredita: Ingrata! Tu non capisci nulla. Noi ci ammazziamo di fatica dalla mattina alla sera e tutto questo soltanto per te, per il tuo bene, il tuo futuro. Lei si è sentita crollare il mondo addosso, ma ha trovato il coraggio di replicare: Ah, è così? Che m’importa se mi regalerete una bella casa, se poi non avete saputo mai darmi un bacio? . Brava, Miriam! Coraggio, anche se il mondo dei grandi può spaventarti. Mary Sempre allegra e solare, quel giorno vestiva elegante e s’era anche profumata. Come stai bene! Che festa è?. È il mio compleanno. Le faccio gli auguri. Quanti ne compi? . Undici risponde con un tono di mestizia. È festa… e piangi?. E Mary, tutta seria e quasi implorante: Non vorrei mai diventare grande. Devo ancora imparare a toccare il fondo e scoprire i tanti misteri della vita umana. Ho però una certezza: c’è bisogno d’amore, il che significa rispetto, rapporto vero. Se questo manca, mi chiedo da dove ci verrà la luce. Allora scenderà la notte e ad essa si accompagneranno solitudine e paura. Questo è il grande dramma degli adolescenti: non trovarsi nessuno accanto nei momenti di insicurezza e di paura, non poter comunicare. Allora, la chiusura, il disorientamento e le inevitabili sbandate. Pierluigi Quella domenica mattina, un mare di gente all’uscita dalla messa. Tra i tanti, un volto noto. Andandogli incontro, gli faccio festa: Ciao, Pierluigi. Auguri per il tuo onomastico. Sorpreso e felice, mi abbraccia scoppiando in lacrime. Perché piangi?, gli dico. Neppure mamma e papà si sono ricordati di me. Per sdrammatizzare replico: Sono contento di essere arrivato primo! Quando sarai a casa, dillo anche a loro che ho vinto io. Nadia Mi è rimasto impresso l’episodio di Nadia, una ragazza molto socievole e da tutti ben voluta. Un giorno la incontro. Faccio fatica a riconoscerla. È seria, timida, a stento saluta le amiche di sempre. E dov’è la sua schietta, sonora risata che infondeva simpatia? Non riesco a capire. Ma attendo paziente il momento opportuno. Ed ecco, questo arriva. Ancora molto impacciata, mi si avvicina. Capisco che porta nel cuore un segreto. Sono contento che sei venuta: volevo appunto parlare un po’ con te. E lei: Solo tu mi capisci. È vero – le rispondo -, noi ci capiamo perché siamo grandi amici. Nadia annuisce. Allora – continuo – vogliamo dirci tutto con semplicità e confidenza?. A queste parole, scoppia in lacrime. È evidente che hai un problema – continuo – ed io vorrei condividerlo. Ti farà bene e forse, insieme, scopriremo la soluzione. Più tranquilla, comincia il suo racconto drammatico: è diventata grande, per la prima volta ha avuto il ciclo mestruale. Non avendo però mai avuto spiegazioni in merito, di fronte a queste manifestazioni naturali ha provato un terribile spavento. È convinta di essere malata. Tanto più che da piccola si è sovente sentita rimproverata e minacciata dalla mamma con queste parole: Puozze ittà ‘o sang (Che ti possa capitare un’emorragia, in dialetto napoletano). Intuendo che si riferiva a una brutta malattia, Nadia si è convinta di essere malata e che sua madre l’abbia maledetta. Ascoltandola, ho provato una tenerezza infinita per lei, ma anche indignazione per certi genitori che non sanno accogliere, coltivare i loro fiori. Per parte mia non mi arrendo, anzi cerco di lavorare con dedizione in questo giardino. È difficile? Certamente. Ma si comincia dal poco: un sorriso, una stretta di mano, una parola affettuosa, la semplice presenza, l’ascolto…

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