Finito l’appoggio al processo di pace in Colombia

Dopo l’assassinio di tre cittadini ecuadoriani e il sequestro di altri due da parte di un gruppo dissidente dell’Eln, e in assenza di un impegno formale della guerriglia ad abbandona il terrorismo, Quito si ritira come garante e come sede dei negoziati
Juan Manuel Santos

Il processo di pace tra il governo colombiano e la guerriglia dell’Eln è come una doccia scozzese che alterna getti d’acqua calda a getti di acqua fredda. L’ultimo fa gelare: l’Ecuador ha ritirato il suo appoggio come Paese garante e come sede dei negoziati di pace, almeno finché la guerriglia non si impegnerà a mettere fine alle azioni terroriste.

La decisione del governo di Quito fa seguito a due episodi di violenza, il primo dei quali si è concluso con l’assassinio di due giornalisti del giornale ecuadoriano El Comercio e del loro autista, sequestrati nel loro Paese per poi essere uccisi in territorio colombiano. Il secondo è relativo al sequestro di una coppia di cittadini ecuadoriani, di cui è apparso un video nel quale chiedono al governo di Quito di salvare la loro vita.

I due episodi sono avvenuti nella zona della porosa frontiera tra Colombia ed Ecuador, dove imperversano settori dissidenti dell’Eln e delle ormai disciolte Farc, ex paramilitari e criminali comuni, tutti in realtà dediti al narcotraffico, in modo speciale, alle estorsioni ed ai sequestri.

Circa un mese fa, il denominato Fronte Oliver Sinisterra, condotto da Walter Artízala (detto guacho), ha intrapreso varie azioni violente. Le zone dove si annidano questi gruppi criminali sono impervie, avvolte da una densa selva e di difficile accesso. Ormai l’ideologia politica è scomparsa e resta solo l’attività criminale, che riesce a spostare al di qua ed al di là della frontiera, nonostante la presenza di 57 mila effettivi colombiani che la vigilano e di circa 12 mila tra poliziotti e militari che la combattono. Si stima che siano circa 30 mila gli ettari di terreno destinati a coltivare la foglia di coca, poi utilizzata per produrre la cocaina.

L’attuale ciclo di conversazioni con l’Eln è previsto che si concluda il 18 maggio. Dopodiché, se non cambiano le condizioni poste da Quito, bisognerà trovare un’altra sede di un Paese che se la senta di garantire un processo che, fin qui, non ha mostrato risultati apprezzabili, se non le tregue messe in atto finora. A febbraio, il governo colombiano si era rifiutato di aprire tale fase in assenza di un impegno della guerriglia di cessare le azioni violente.

Il ritiro di un Paese garante mette alle corde l’Eln, che in caso di firma della pace si suppone si trasformerà in un nuovo gruppo politico. Il motivo è che l’esperienza delle Farc, oggi trasformate in partito, è quella di un enorme isolamento. Tra gli elettori ha raccolto uno scarso 1%. Anni di ambiguità e di violenza hanno stancato l’opinione pubblica che non crede nel loro discorso. L’Eln rischia di fare la stessa fine se non prenderà le distanze, e definitivamente, dalla lotta armata. Ma la situazione mette alle corde anche il presidente colombiano Juan Manuel Santos. Quando manca poco più di un mese alle elezioni presidenziali, si allontana il sogno di consegnare la fascia presidenziale avendo messo in dirittura d’arrivo anche la pace con l’Eln.

 

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons