Fine vita, tre domande ingenue

L’occasione del convegno promosso dalla Fondazione Faro di Torino per porsi alcune domande dopo la recente sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato
ANSA/LUCA ZENNARO

Recentemente ho partecipato al convegno “Il Dire e il Fare. La comunicazione nella cura del malato fragile”, organizzato per riflettere sui contenuti della legge 219/2017 (“Fine Vita” e “DAT”) e organizzato per i 35 anni della fondazione FARO di Torino. Tre decenni di assistenza e cure palliative, circa 40mila storie “uniche” di malati nell’ultimo tratto di vita e delle loro famiglie.

Un convegno ricco di contenuti, dalla splendida Lectio Magistralis di Sandro Spinsanti sulla relazione medico-paziente nella Storia della medicina, alle toccanti testimonianze di due familiari (Luciana Littizzetto e Alessandro Perissinotto) che con umiltà hanno condiviso quei momenti intimi con i propri congiunti che solo chi lavora nelle case e negli hospice ha l’onore di conoscere e accompagnare. Molti i temi trattati: la percezione sociale della malattia, la comunicazione, gli aspetti legislativi (interessantissima per rigore, concretezza e umanità la relazione a due voci di Giulia Facchini, avvocato, e Antonella Piga, medico legale), fino alla tavola rotonda conclusiva moderata da Marina Sozzi fra rappresentanti di diverse culture e religioni (dialogo autentico, tra un vescovo cattolico, un mediatore culturale islamico, una studiosa della tanatologia tibetana, un pastore valdese e un parroco ortodosso,  incentrato sulla ricerca di quanto di spirituale e umano ogni cultura può donare alla Società frammentata e sofferente delle nostre città).

Per me è stata anche l’occasione per provare a riflettere sul recente parere della Corte Costituzionale sul caso “Antoniani/Cappato” che ha rimandato al Parlamento la richiesta di legiferare sull’aiuto al suicidio (ricordiamo che la questione riguardava una vicenda di suicidio assistito praticato in Svizzera, ma sostanzialmente organizzato in Italia).  Con una domanda dalla sala ho avuto modo di sottoporre ai due giuristi tre “domande ingenue” per cercare di chiarirmi le idee e capire meglio una questione di cui per ora abbiamo solo riscontri mediatici.

Prima domanda: “Davvero non ci sono elementi nella Costituzione e nella Legge Italiana per dare risposta al quesito?”.

Questo infatti ci si attenderebbe dalla Corte Costituzionale, e mi pare che siano numerosi i riferimenti della Costituzione Italiana, della Corte Europea dei Diritti Umani, della legislazione italiana e della Convenzione di Oviedo che affrontano il tema della vita umana, del suicidio e dell’aiuto al suicidio, che al di là di qualsiasi giudizio morale resta una sconfitta e un dramma per la società. Non mi risulta che esistano legislazioni, anche nei Paesi dove eutanasia e suicidio assistito sono legalizzati, che autorizzino un’iniziativa individuale o di gruppo che ne favorisca o ne induca l’attuazione.

Seconda domanda: “Davvero manca in Italia una legge del Fine Vita?”.

Credo sia una forzatura di qualche titolo superficiale di giornale o telegiornale, ma si è sentito anche questo. A quasi un anno dalla legge 219, nel momento in cui si sta facendo un lavoro di diffusione, confronto e dialogo sui suoi contenuti e sui temi affrontati, un’affermazione del genere mi sembra assurda e si intravede forse un tentativo di mettere in discussione aspetti come l’Eutanasia e il Suicidio Assistito che la legge (così come le cure palliative) non prevede in alcun modo.

Terza domanda: “Manca una risposta della legge o le risposte che ci sono non piacciono?”.

Non sono un giurista e mi rendo ben conto delle complessità, ma nell’equilibrio dei ruoli delle Istituzioni di cui si sente così grande bisogno in questi tempi confusi, un po’ mi lascia perplesso il fatto che la Corte Costituzionale dia i “compiti a casa” al Parlamento, invece che dare un’interpretazione oggettiva delle norme esistenti. Per cambiare (o introdurre) che cosa? Ripeto, la legge sul Fine Vita in Italia adesso c’è, apre spazi molto ampi per garantire la libertà individuale nelle scelte, ma non prevede né l’eutanasia né il suicidio assistito. Il quesito posto al Parlamento sembrerebbe invece essere “a senso unico”, quasi a voler forzatamente “correggere” la legge. Ma l’arbitro può cambiare le regole durante la partita a vantaggio della sua squadra preferita?

Nel dialogo al Convegno, in Sala e poi nei corridoi, mi si è chiarito che la situazione è sicuramente più complessa, ma anche che gli interrogativi non sono solo miei. Credo che non mancheranno occasioni di parlarne ancora.

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