Fine di un traditore recidivo

Ali Abdallah Saleh, già presidente a più riprese dello Yemen, colui che veniva chiamato “Imperatore”, ha fatto la fine di Gheddafi, ucciso dagli houti che aveva rinnegato poche ore prima

Brutta morte per i dittatori del quadrante mediorientale. Anche l’ex-dittatore dello Yemen in guerra, Ali Abdallah Saleh, nato nel 1942, se n’è andato nell’infamia del pubblico ludibrio, trasportato avvolto in una coperta colorata su una camionetta dei suoi nemici-ex-alleati, quegli houtu sciiti che aveva abbandonato poche ore prima, riportandosi sotto le ali del vicino saudita, intenzionato a investire maggiormente nel conflitto di Sana’a dopo la spinta radicale del nuovo uomo forte, Mohammad bin Salman. Era stato bloccato poco prima mentre cercava di scappare dalla capitale con un imponente corteo che però è stato bloccato dai combattenti anti-sauditi. Esattamente come Gheddafi.

Ali Abdullah Saleh

La personalità di Saleh è tra le più complesse da raccontare ed è stata costantemente accompagnata, tranne pochi momenti di tregua, alla guerra. Tra il 1962 e il 1970, è con i repubblicani, sostenuto dagli egiziani, contro i realisti, aiutati invece dai sauditi. Da allora non si contano più i cambiamenti di campo di Saleh, soprattutto nei confronti dei sauditi. A turno, è stato amico degli statunitensi, dei russi, dei sauditi, degli sciiti, dell’Iran, degli egiziani… Negli anni Sessanta, vediamo Saleh schierato totalmente nel campo del Nord repubblicano, mentre al Sud una repubblica socialista sostenuta da Mosca viene proclamata nel 1968, dopo l’evacuazione britannica. Mel 1978 viene eletto presidente della repubblica, ma pochi gli danno qualche chance di rimanere a lungo al potere. E invece…

All’inizio degli anni ’90, è uno degli eroi della riunificazione, mentre la fine dell’universo sovietico e delle sue influenze nel mondo libera lo Yemen dalla guerra tra Nord e Sud. Poi, sul finire degli anni ’90 “l’Imperatore”, come viene acclamato dai suoi partigiani, si presenta come il «paladino della libertà e della democrazia», come il difensore della modernità contro la barbarie. Così agli inizi del millennio si trasforma nell’uomo della lotta contro il terrorismo, mentre permette agli Usa di usare i loro droni sul territorio yemenita per eliminare i quadri dirigenti di al-Qaeda nella penisola arabica. La dittatura è ormai irrefrenabile, Saleh è sempre più autoritario e la sua famiglia occupa i gangli del potere e fa affari a tutto spiano.

Nel 2006 annuncia in pompa magna il suo ritiro dalla scena politica, ma già sapendo che la folla dei suoi fans lo implorerà di restare: più di un milione di suoi sostenitori portano Saleh a rimangiarsi la decisione, e a risistemarsi alla presidenza. Nel 2010, le manifestazioni per la cosiddetta “primavera araba” hanno luogo anche in Yemen, al punto che Saleh viene imprigionato. Ma il presidente con l’ennesima piroetta si propone come ultimo baluardo contro l’avanzamento di al-Qaeda nel Paese. Cominciano violenti scontri tra sostenitori e avversari del presidente, che tuttavia viene rilasciato dagli statunitensi e dai sauditi che lo tenevano prigioniero.

Bisogna aspettare il bombardamento del suo palazzo presidenziale per vederlo scomparire dalla scena, il 3 giugno 2011, gravemente ferito. Si rifugia a Riad, e dà le dimissioni vestito con una kefiah rossa e bianca, nel febbraio del 2012. Ma sa già che tornerà, come avviene due anni più tardi, allorché sposa la causa dei suoi nemici houti, che aiuta ad entrare nella capitale Sana’h, grazie alle sue ancora influenti conoscenze nell’esercito e nella guardia repubblicana. Ma lo sposalizio tra Saleh e gli sciiti houti è contro natura, e così 5 anni dopo escogita l’ennesima, e ultima, giravolta: si sposta nel campo saudita, di nuovo, con la promessa di Riad di poter mettere sul “trono” yemenita il figlio maggiore, Ahmad Ali Abdallah Saleh.

Ma ha sottovalutato gli houti, che si stanno legando sempre più strettamente a Teheran, e che non sopportano più quel loro correligionario: anche se vengono tutti dallo “zadismo”, una derivazione sciita locale dello sciismo, il vecchio Saleh non ha mai considerato la sua origine come un’appartenenza ideologica. A lui interessava solo il potere. Una sete sconfinata che lo ha portato nella tomba, anzi sul pick up dei suoi nemici-ex-amici, umiliato e sfigurato.

E ora che succederà? Ieri si diceva che per i sauditi ormai la strada verso Sana’a era spianata, perché gli houti avevano perso il loro più importante alleato interno. La guerra yemenita tanto indigesta a Riad – sia perché è in primis una guerra contro l’Iran, sia perché l’esercito saudita manifesta limiti evidenti pur essendo fornito delle armi più sofisticate che esistano al mondo, comprese quelle prodotte in Sardegna – sembrava prendere una direzione a favore dei sauditi. Ma sono basate poche ore perché la vendetta sciita houti venisse consumata, e la guerra ritorna così nel caos. C’è da attendersi una prossima offensiva dell’aviazione saudita contro la capitale Sana’a e in ogni caso una radicalizzazione del conflitto. Con la prosecuzione del calvario umanitario che da mesi colpisce il Paese assetato e affamato. E con possibili ripercussioni persino nello scenario siriano e libanese. MbS, l’erede al trono saudita, non tollererebbe infatti un alto scacco dopo la sconfitta in Siria e Iraq.

 

Sullo stesso argomento l’intervista di Michele Zanzucchi a Radio Radicale.

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