I film di Alice nella città

Proponiamo due recensioni di due pellicole presentate nella sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata alle giovani generazioni

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The best of all words di Adrian Goiginger

Il migliore di tutti i mondi non è quello della fuga dalla realtà con le droghe possibili che continuamente tentano l’esistenza. Non è quello in cui si può promettere di vincere a qualunque gioco si stia giocando o di non morire. Ma quello in cui tutto si motiva in un amore capace di sdoppiare una vita persa in una redenta, di trasformare il dolore d’un distacco da consumare in un atto d’amore riconoscibile anche da chi sperimenta l’abbandono. Così la storia del piccolo Adrian di 7 anni con una mamma e i suoi amici in piena dipendenza da droghe, le più diverse, ci fa assistere alla sua infanzia “felice”, sognante e piena di un futuro in cui tutto è possibile mentre tutto appare disperatamente perso nella fuga dal nulla al nulla.

La madre Helga, il suo compagno ed i suoi amici tutti eroinomani vivono alla periferia di Salisburgo e nulla sembra aver significato oltre il loro rinchiudersi nei mondi spalancati dalle droghe con le lenzuola alle finestre della loro casa o in rave tragici lungo il fiume. Eppure in mezzo a loro il piccolo Adrian vive la sua infanzia innocente, priva della coscienza della situazione e ricco d’un suo mondo fantastico e d’un futuro avventuroso come esploratore. Nell’incerta soglia di questi due mondi sta la madre, tra voglia di liberazione e prigionia della dipendenza, speranza e paura che non ci sia futuro.

Tragedia e riscatto si profilano con realismo in questo film in cui l’amore vince perché sa sperare per altri prima che per sé. Realismo, tanto realismo nel quadro che si fa della dipendenza e del mondo che la abita, realismo nel disegnare una infanzia a rischio. Realismo nel far vedere la presenza delle istituzioni e del volontariato. Poesia nello svolgersi della storia di queste esistenze che generano un vortice che ci risucchia e ci rilancia nella speranza.

dreams

Dreams by the sea di Sakaris Stórá

Colori e ambienti dell’Europa del Nord caratterizzano il film che incarna, in modo però non sempre del tutto adeguato le modalità del cinema Nord europeo, risentendo in qualche passaggio del suo essere nato come cortometraggio.

In una isola sperduta due ragazze adolescenti si incontrano pur appartenendo a mondi completamente diversi.

Il film ha il pregio di indicarci in una polarità riflessa nelle due protagoniste un passaggio dell’adolescenza e la forza dei legami pur passeggeri che in essa si costruiscono. Nelle due protagoniste si proiettano i tratti di contraddizione di ogni adolescenza tesa tra bisogno di certezza e regole ed esigenza di trasgressione, rifondazione della propria vita oltre ogni modello familiare, oltre ogni somiglianza con i propri genitori.

Ognuno resta stretto nella sua condizione ma l’amicizia, il guardare all’altro apre percorsi non immaginati e non lineari rispetto alle premesse. La sfida d’essere se stessi non è semplice e lo sguardo della macchina fissa sui volti che si interrogano vorrebbe dare profondità interrogante ma non sempre riesce ad andare oltre la superficie. Così, a volte, i passaggi sono troppo lunghi e le soluzioni dello svolgersi della storia scontate.

Il mondo descritto è chiuso e rassegnato agli occhi delle adolescenti ma la loro amicizia è la porta per aprirne un altro… Resta la loro amicizia ma anche il loro doversi separare e resta la domanda se poi sia possibile un mondo migliore a cui ognuno può rispondere spiegando le proprie ali. Ma l’adolescenza è questa domanda.

 

 

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