Figli di una famiglia ferita

La competizione tra genitori naturali e nuovi partners. Come comunicare con i ragazzi nelle famiglie ricostituite.
Una mamma con bambino

Gli esempi di “famiglie allargate” si sprecano ormai; hanno abbandonato il privato per occupare in modo stabile l’orizzonte mediatico. Che siano presidenti, attori o manager, il risultato è sempre uguale.
In realtà la famiglia ricostituita sulle macerie di famiglie precedenti separate è una configurazione relazionale complessa, dove si intrecciano vite che avevano cominciato altrove la loro storia di figli, padri, madri, coniugi. Il compito di costruire nella massima serenità possibile un sistema familiare così complesso non è facile, servono forza di carattere e pazienza.
In generale, quando la vita presenta situazioni di questo tipo, bisogna rimettere a fuoco il valore della comunicazione, per renderla efficace e capace di prevenire distorsioni relazionali dolorose.
Vale molto, ad esempio, valorizzare le opinioni dei giovani di casa, accettare di farsi modificare da quello che loro hanno osservato, da ciò che pensano di noi.
È una conferma che sono importanti per noi, ancor più quando non sono figli nostri; si genera, infatti, un potenziamento della loro autostima, perché sono riusciti a farsi ascoltare anche da chi non è il loro genitore! Per un figlio la conferma del proprio valore ha sempre buone ricadute sulla percezione del posto che sente di occupare in famiglia.
Il successo dei rapporti tra figli di famiglie diverse, quindi, è dovuto prima di tutto alla capacità dei genitori di valorizzare ciascuno nei suoi pensieri e sentimenti, affinché non trattenga le sue emozioni e non si “chiuda a riccio” nella convinzione di non essere accolto nella nuova famiglia.
 
Analogo valore ha, nella comunicazione con i figli, nostri o no, il fatto di non screditare la loro storia personale. Se uno dei loro genitori è assente fisicamente nel nuovo contesto di vita, non lo è nella loro mente. Ogni figlio infatti appartiene a due stirpi, materna e paterna; è un suo bisogno specifico, non se ne può negare una. Neanche la preferenza per uno dei due genitori ci deve ingannare: è un fatto spontaneo e spesso limitato ad un periodo; non riduce il bisogno, profondamente umano, di riconoscere in sé entrambe le linee di sviluppo.
Evitando di screditare gli altri genitori, quindi, non si riaprono vecchie ferite e si dà al dolore un senso diverso. Tra l’altro, non mettere in competizione genitori e nuovi partner è un mezzo potente per pacificare gli animi: il figlio si rende conto che nessuno vuole sostituire il genitore vero con il nuovo partner. Se nella nuova famiglia non sente mai denigrare il suo genitore assente, viene a mancare il tipico pretesto che scatena la reazione di rabbia e di accusa.
La pace in famiglia nasce da noi stessi, dalla pace del nostro cuore, costruita nella gratuità del nostro amore e del nostro perdono e, per chi crede, nella preghiera. Trattare il prossimo come sé stessi è un principio universalmente valido. Trattare i figli dell’altro come i propri rientra in questo campo di prova. Saper volere loro bene non è sempre un passo facile, ma può essere facilitato dall’avere costruito una propria capacità di autonomia di pensiero e relazioni, senza proiettare negli altri improbabili aspettative. I figli dell’altro non sono e non diventeranno mai “nostri”.
 
L’aspettativa non può essere quella di costruire con loro un rapporto intimo, tanto più che essa contrasterebbe con il legittimo desiderio dei figli di non sostituire con nessun altro la figura del padre o della madre. Si tratterà piuttosto di costruire con loro un rapporto equilibrato, di seminare fin dall’inizio un profondo rispetto per la loro identità di figli di una famiglia ferita, senza volerli tirare da una sola parte. Oltre tutto, quando i bambini e i ragazzi avvertono questo tipo di condizionamento, si ribellano, mettendo in pratica, con comportamenti distruttivi, la “lealtà invisibile” verso il genitore assente. Molti sintomi, espressioni di rabbia o di rifiuto, rappresentano il bisogno inconscio di rimanere legati al genitore assente, opponendosi all’attuale situazione che lo ha estromesso dalla propria vita in modo insopportabile.
È per questo che Pietro, a 12 anni, costretto a sentire le infinite accuse della madre contro il padre, bagna ancora il letto di notte; è per questo che Martina, di 10 anni, rifiuta il cibo quando mangia dal padre con la nuova compagna di lui.
Non si può pensare di ampliare una famiglia se non ci si prende cura di queste emozioni irrisolte nei bambini e nei ragazzi. Essi hanno più degli adulti bisogno di sostegno incondizionato, e sono ipersensibili ai ricatti morali e agli obblighi che nelle separazioni abbondano. Tuttavia, per fortuna, bambini e ragazzi sono ipersensibili anche all’amore vero, basato su stima e incoraggiamento.
 
Quando ci si accinge a ripartire con una nuova vita familiare, la nuova coppia ha il desiderio di avere un rapporto positivo con i figli dell’altro e che i figli di entrambi vadano d’accordo tra loro. Si sente spesso colma di un’energia che da tempo non provava, per cui ogni ostacolo al nuovo progetto rischia di produrre una delusione notevole. L’ostacolo è spesso rappresentato da uno degli ex coniugi, che cerca di mantenere il controllo sull’altro opponendosi al nuovo progetto di vita; per questo strumentalizza i figli, mettendoli contro il nuovo partner.
Per ricominciare davvero una storia familiare, quindi, è molto importante combattere la tentazione impulsiva di negare le difficoltà sperimentate in passato, spesso nate da una tendenza a fare i genitori da soli. L’idea di una famiglia allargata, che cambia equilibri, sposta orari e modifica ritmi e spazi di vita, non è un pensiero a cui ci si adatta subito. Occorre lasciare ai figli, e a sé stessi, il tempo di abituarsi. E per quanto riguarda l’altro genitore, rinunciando alla tentazione di metterlo davanti al fatto compiuto, occorrerà concordare insieme le modalità per proporre ai figli il cambiamento.
Il rischio più grande nelle famiglie ricomposte e nelle separazioni, infatti, è sempre lo stesso: strumentalizzare o marginalizzare i figli. Nel primo caso si ingigantiscono i loro problemi per ricattare l’altro genitore. Nel secondo caso si minimizzano per estromettere l’altro da una gestione congiunta.
Spesso questo rischio non è totalmente conscio. Si alimenta di pensieri vecchi, conflittuali, lontani dai veri bisogni dei figli: pensieri ed emozioni che vanno ormai “in modo automatico”. Per allontanare questo pericolo, il cammino da fare è vedere le cose cogli occhi dei figli, perché solo ponendosi dal loro punto di vista potremo arrivare a conoscerli in modo realistico e scoprire le risorse per la pace in famiglia. Realizzeremo così quella “pedagogia dell’ascolto” che promuoverà nei nostri figli la sicurezza di essere conosciuti e amati per come realmente sono, e la formazione umana necessaria per poter, a loro volta, donare amore.

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