Festival di Venezia, Dune: una nuova Iliade?

Il film fantascientifico di Villeneuve crea un nuovo eroe, specchio dei miti di sempre.
Timothee Chalamet, a sinistra, e Rebecca Ferguson posano per i fotografi al Festival del cinema di Venezia (Foto di Joel C Ryan/ Invisione/AP)

Il mondo ha bisogno di eroi, di miti, di viaggi avventurosi e di guerre oggi spaziali, interstellari. Così Paul Atreides (ricorda gli Atridi dell’Iliade?) giovane brillante che ancora non conosce il suo destino (come Merlino nella serie di qualche anno fa, come Jon Snow nel Trono di spade – a cui si ispirano varie scene di battaglia -, come gli antichi Achille o Davide o Parsifal) erede al trono deve vedersela con nemici potentissimi, cioè il male che è il potere e il denaro.

Il ragazzo dovrà raggiungere il pianeta più pericoloso dell’universo per assicurare un futuro alla famiglia e al suo popolo. Forze malvage si battono intanto per trovare la spezia preziosa capace di liberare tutte le potenzialità della mente umana senza esclusione di colpi, Paul deve vincere le sue paure. Storia antica e nuova, vicenda di formazione in cui l’eroe è un nuovo messia di una nuova bibbia, che deve lottare per venire riconosciuto.

Villeneuve incanta con gli effetti speciali, la fotografia, la fantasia sbrigliata, ma il filo del racconto – della prima parte della lunghissima epopea – è di ferro come di ferro è il racconto che gioca sulla interpretazione del protagonista Timothée Chalamet, giovane divo che oscura le altre star che gli fanno da contorno. Eroe limpido, impulsivo, adolescenziale, è un nuovo salvatore visionario di una umanità impaurita fra tempeste di sabbia, mostri e magie, attacchi di popoli ferrigni e inquietanti domande sul futuro dell’umanità e della vita intera.

Film riuscito? Epopea possente certo, fin troppo ricca tuttavia di suggestioni e messaggi in codice, inno al coraggio giovanile e storia di un mondo che ancora fra millenni faticherà a cercare la pace, tra conflitti religiosi e amore per il potere e il denaro. Sperando che la pace non sia illusione.

Con le illusioni deve fare i conti invece il giovane poeta provinciale Lucien (Benjamin Voisin) che protetto da una contessa che lo ama viaggia con lei a Parigi nel romanzo Les illusions perdues di Balzac. Parigi nell’Ottocento è come Hollywood: contatti, imbrogli, successi, gelosie, fatiche.

Da sinistra in senso orario Salome Dewaels, Vincent Lacoste, Cecile de France, Benjamin Voisin, il produttore Olivier Delbosc e il regista Xavier Giannoli posano per i fotografi al photocall per il film “Illusions perdues”, durante la 78a edizione del Venice Festival del cinema di Venezia (AP Photo/Domenico Stinellis)

Lucien deve adattarsi alla doppiezza, al lavoro sporco di giornalista ribelle, alla perdita dell’innocenza, in definitiva. Riesce a introdursi nel bel mondo, tra le persone che contano, a sperimentare un vero amore – l’attrice ex provinciale che morrà di tisi come la Traviata, mentre lui è diventato un dandy perfetto che ricorda il musicista Bellini – ma pure a dissipare il sogno della poesia e della bellezza, a perdere tutto, a venire ingannato dai falsi amici, a sperimentare la povertà: finirà per purificarsi o suicidarsi ritornando in provincia?.

Fastoso, il film diretto da Xavier Giannoli, ricostruisce perfettamente il clima e gli ambienti della Parigi post-napoleonica, e si fa attuale nella realtà del denaro che fa potere e successo. Perciò, sotto l’eleganza e le belle maniere, in verità la società cerca la morte altrui per sopravvivere e i giovani che riescono a liberarsene pur nel fallimento si chiederanno se valga la pena lottare ancora, dopo aver sperimentato che tutto – amore amicizia rispetto – si può comprare. Vale per gli artisti di sempre, a non dissipare un briciolo di speranza.

Tutt’altra cosa l’italiano Il Buco di Michelangelo Frammartino. La vicenda degli speleologi che esplorano dal vivo una grotta sotterranea in Calabria mentre nel paese la gente osserva alla televisione la nuova Milano dei grattacieli è una parabola vista con gli occhi di un pastore antico sul contrasto tra la sicurezza (?) di un città moderna e l’insicurezza di una profondità abissale che non ha confine né si sa quale possa essere. Film duro, difficile eppure emozionante perché scava nel “Buco” della terra ossia nel mistero che sempre attende l’uomo, al di là del progresso, è scarno, scabro, fotografato alla Caravaggio. È un lavoro molto bello, per palati fini, abituati a pensare. Uno dei diversi film nostrani di assoluta originalità, privo di eroi giovanili, ma ricco della natura che sta in silenzio inesplorata e inesplorabile di fronte a noi.

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