Fermarsi a dialogare

“Con la nostra figlia di 16 anni abbiamo un rapporto sereno; però, nonostante ella abbia un carattere estroverso, il dialogo a volte è difficile, per cui spesso le sue vicende personali le conosciamo da altri. Da dove nasce questa difficoltà a dialogare tra giovani e adulti?”. Enrica e Sergio – Roma Il disagio, che a volte i figli adolescenti provano nel dialogo con gli adulti (in particolare con i propri genitori), nasce spesso da quel desiderio positivo di autonomia e di autoaffermazione tipico dell’adolescenza, inserito nel loro naturale processo di crescita e maturazione. Perciò essi spesso preferiscono confrontarsi con i coetanei, evitando “accuratamente” la confidenza con i genitori, quasi per paura di ritornare bambini. Tuttavia, se il dialogo viene coltivato fin dalla prima infanzia, queste difficoltà vengono superate più facilmente; esso infatti non va improvvisato ad una certa età, ma costruito fin dai primi anni di vita. A volte, però, le difficoltà possono nascere da noi adulti che non sappiamo ascoltare e spesso approfittiamo dei momenti di confidenza per poter “finalmente” svuotare il sacco e dire al figlio tutto quello che pensiamo di lui, esprimendo giudizi, esortazioni, massime moraleggianti. Pur non volendo, ci esprimiamo in realtà con parole, che indicano una non accettazione dell’altro, mini-prediche velate di pseudo-amicizia, di certezze che scoraggiano anziché incoraggiare. C’è un altro modo di rispondere ai messaggi dei giovani infinitamente più efficace: è un ascolto profondo, condito da espressioni-invito (come per esempio: raccontami), da uno sguardo, un sorriso. È un calarci nei loro panni e guardare il mondo e le problematiche da quella posizione; questo significa fare il vuoto dentro di noi, non pensare alla risposta che vorremmo dare mentre loro parlano, mettere da parte pregiudizi ed idee precostituite, esperienze e preoccupazioni. Così essi potranno esprimersi in tutta la loro unicità, senza adattamenti alle nostre aspettative e valutazioni. Abbiamo sperimentato l’importanza anche dell’atteggiamento esterno; quando ci accorgiamo che un figlio vuole comunicare con noi, occorre saperci fermare e non avere fretta. Solo lui potrà progressivamente capire che questa forma di ascolto dovrà essere reciproca; tuttavia la nostra esperienza di genitori ci ha fatto comprendere che bisogna saper attendere con pazienza e senza pretese. Questo modo di dialogare, però, è possibile solo se crediamo fortemente nelle potenzialità di ogni essere umano; nei figli, in particolare, esso facilita il processo autonomo di soluzione dei problemi e la riflessione senza pregiudizi sulle opinioni dei genitori. Tutti noi, infatti, abbiamo sperimentato una maggiore disponibilità ad ascoltare il punto di vista di un altro, se prima ci siamo sentiti a nostra volta ascoltati e capiti.

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