Fantozzi e il dramma dell’italiano medio

Se n’è andato Paolo Villaggio, col suo ometto tondo, gommoso, debole, ma anche tanto forte. Tanti i film e i libri. I premi: Leone d’oro, Pardo d’oro e David di Donatello

Il «mega direttore galattico», la «nuvoletta dell’impiegato, fino a quel «batti lei» che usiamo per commentare un uso sballato del congiuntivo. Tutte esclamazioni da tempo entrate nel nostro slang quotidiano, utilissime per sintetizzare ironicamente situazioni e concetti, tutte prese eternamente in prestito dal “grande” Ugo Fantozzi: creatura principale, di mostruosa e iperbolica esemplarità, pennellata e resa immortale dal genio di Paolo Villaggio.

Chi di noi non si è mai sentito un po’ Fantozzi in qualche quotidiana impasse sul lavoro o nel privato? Chi di noi non ha empatia con gli stati d’animo del popolare ragioniere, con la sua frustrazione comunque invasa da una sorda speranza? Ha più di quarant’anni quest’ometto tondo e gommoso, debole ma anche tanto forte, per la capacità di resistere, sopportare ed entusiasmarsi per mille cose della vita.

È in là con gli anni ma non sta affatto invecchiando, resterà al contrario, come una scultura potente e preziosa a dirci quanto grande sia stato il suo autore, capace di raccontarci contemporaneamente il “dramma” dell’italiano medio (non solo quello degli anni ’70), i limiti di una vita tutta orbitante intorno alle certezze del posto fisso, ma anche il ritratto senza tempo di ogni uomo estromesso dal potere, costretto a navigare a remi dentro gli schemi della sua società, obbligato a subirne passivamente le regole e plasmarsi intorno alle sue abitudini.

I primi due Fantozzi, (1975 e 1976) – in assoluto i migliori, insieme a qualche sprazzo del terzo (1980) che è di Neri Parenti –, sono di Luciano Salce, grande amico di Paolo Villaggio e uomo da lui stimatissimo: «Il più intelligente che abbia mai conosciuto», amava dire l’attore ligure che la notte scorsa ci ha lasciato all’età di 84 anni, con quasi ottanta film sulle spalle, due figli e una moglie, Maura Albites, amata senza interruzioni dal lontano 1954.

Sono due film preziosi, Fantozzi e Il secondo tragico Fantozzi, più di situazioni che di gag, grotteschi e malincomici, per dirlo alla Verdone, che fanno ridere e soffrire. C’è persino chi non riesce a vederli: insopportabile la continua vessazione subita dal protagonista. Per molti, invece, Fantozzi è semplicemente un mito conosciuto a memoria, quello costantemente inadeguato della partitella domenicale e della sciata a Courmayer, del tennis alle sei di mattina e delle lezioni notturne di biliardo. A suo agio, in fondo, soltanto davanti alla Tv, quando gioca l’Italia anche se la partita è in differita, fa lo stesso.

Villaggio conobbe i suoi Fantozzi durante certe reali esperienze professionali da impiegato, negli anni ’60, contemporaneamente alle esibizioni nei cabaret romani e nel famoso Derby di Milano, dopo che Costanzo lo aveva scoperto e lanciato. Lentamente raggruppò e mise in scena quei tanti personaggi presi dal vero, prima sul piccolo schermo (Il sabato del villaggio e Quelli della domenica, del 1968), poi nei libri e infine sul grande schermo, allargando il successo già ottenuto sulla carta.

Già da quei primi anni, però, Villaggio rese popolari anche il personaggio del Prof. Kranz tedesco di Germania e più tardi quello di Fracchia, che con Fantozzi ha molti punti in comune. É stato anche molto altro, però, Paolo Villaggio, un attore capace di lavorare coi grandi maestri del cinema italiano, in ruoli leggeri o drammatici, da Mario Monicelli a Ermanno Olmi, da Lina Wertmuller a Pupi Avati, da Marco Ferreri fino a Federico Fellini, per il quale, nel 1989, interpreta il suo ultimo film, La voce della luna.

Ma in mezzo a questo eccelso gruppo, ci sono film interessantissimi di autori meno noti, ai quali Paolo Villaggio ha prestato il suo talento. Uno di questi è certamente Camerieri di Leone Pompucci, del 1995, una commedia all’italiana corale e struggente in cui l’attore interpreta il ruolo di un vecchio cameriere che vive di nostalgie e ricordi. Per la sua grande continuità e versalità, oltreché per la grande saga fantozzianta, sia il Festival di Venezia che quello di Locarno gli hanno consegnato, nel corso del tempo, rispettivamente il Leone d’oro e il Pardo d’oro alla carriera. E sempre per la straordinaria carriera, Paolo Villaggio ha ricevuto anche un meritato David di Donatello.

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