Facciamo il punto sul Covid

A qualche settimana dall'inizio della vaccinazione di massa, alcune considerazioni sui numeri dell'epidemia, sul vaccino e sulle variabili a sfavore. Cosa ci aspetta nei prossimi mesi
(Mark Moran/The Citizens' Voice via AP)

Vuole una saggezza antica che nei primi giorni di febbraio ci si soffermi ad osservare il cielo, annusare l’aria, scrutare il chiarore delle giornate che si allungano, e si cerchi di indovinare a che punto è l’inverno.

La “brutta stagione”, da superare e archiviare come un pericolo scampato, è un concetto ben radicato nel nostro passato: qualcosa che la pandemia, con il suo chiaro andamento stagionale, ha riportato al presente in modo drammatico.

Scrutiamo i numeri del contagio che si incrociano con quelli delle dosi vaccinali, della diffusione delle varianti, minacciosa nebulosa, dalla valenza epidemiologica ancora poco nota; e tutto allineiamo sul calendario, cercando di capire come andranno le cose nel prossimo futuro.

Fermiamoci anche noi, in questi giorni fra Candelora e le Terminalia degli antichi Romani, a fare il punto della situazione.

I numeri dell’epidemia

Da alcune settimane si parla di stabilizzazione della curva dei contagi e, di conseguenza, dei ricoveri e dei decessi. Una prima ovvia considerazione è che le misure restrittive influenzano l’andamento dell’epidemia: è piuttosto facile osservare come le “chiusure” riescano a controllare la curva dei nuovi contagi giornalieri, abbassandola o stabilizzandola a seconda della rigidità delle limitazioni imposte alla circolazione delle persone e alle occasioni di assembramento. Al momento in cui scrivo, con l’Italia in zona gialla, questo punto di equilibrio si trova intorno ai 12-15 mila casi al giorno.

Guardando il dato più da vicino si osserva inoltre che la proporzione di coloro che sviluppano la malattia in forma grave e richiedono l’ospedalizzazione e di quelli che passano in terapia intensiva rimane costante, rispettivamente intorno al 5% e allo 0,5% del totale dei nuovi malati. Lo stesso, come documenta anche il recente rapporto dell’ISS sulla letalità della malattia, avviene con la proporzione dei malati che muoiono, stimabile, al netto di aggiustamenti demografici per evitare sovrastime, intorno al 2,5%. (1)

Tutti questi dati, che sono stati molto diversi nella prima fase della malattia per gli ovvi problemi legati alle difficoltà di identificare i positivi asintomatici, subiscono una certa oscillazione stagionale: il periodo invernale influenza la capacità del nostro organismo di eliminare ogni tipo di virus e batterio, mentre l’umidità aumenta le probabilità del patogeno di sopravvivere nelle goccioline di Flugge.

Le varianti, il vaccino e le variabili a sfavore

Il parametro di riferimento scelto per misurare l’andamento dell’epidemia resta l’Rt, ossia il numero medio di persone infettate da ogni nuovo malato, nelle condizioni “sul campo” (ossia al netto di tutte le precauzioni che vengono prese per limitare la diffusione del contagio). È importante ricordare che questo indicatore dipende da quanto è contagioso, in assenza di alcuna precauzione, un dato patogeno (in quel caso prende il nome di R0) e dipende da noi. Una popolazione può ridurre il parametro R proteggendosi, distanziandosi e immunizzandosi.

Questo è ciò che si cerca di ottenere con le misure di prevenzione primaria, ossia l’utilizzo di mascherine e gel per le mani, le regole sociali, e la vaccinazione. Le prime sono misure che richiedono attenzione costante, controlli e adesione volontaria da parte di tutti; la vaccinazione invece offre una protezione collettiva riducendo la possibilità che una persona entrata in contatto con il virus possa sviluppare la patologia.

Tuttavia, è importante ricordare che interrompere la circolazione virale tramite la vaccinazione si deve raggiungere una soglia minima di persone “resistenti”, che dipende dal patogeno e che per il SARS-COV-2 viene stimata intorno al 50-70% del totale: buoni risultati sono stati ottenuti dai primi studi di popolazione svolti in Israele (dove si è arrivati vicini al 40% dei cittadini vaccinati) e dalle primissime osservazioni sulle infezioni dei sanitari dopo l’inizio della campagna di immunizzazione.

La disponibilità di tre diversi tipi di vaccino (tutti molto simili per il meccanismo di azione) offre l’opportunità di procedere speditamente anche nel nostro Paese e di centrare l’obiettivo entro l’inizio della prossima stagione autunnale, mettendo al sicuro sia i pazienti fragili sia i servizi essenziali: un risultato che, senza alcun dubbio, renderebbe lo scenario molto diverso da ora.

Riguardo ai dubbi sull’efficacia del nuovo vaccino fra i soggetti anziani, va ricordato che questo dato è legato soprattutto al modo in cui sono stati condotti gli studi di fase III, e non ad una limitazione della metodica, che potrebbe risultare altrettanto efficace per tutti una volta che saranno disponibili maggiori dati (2).

Tuttavia i virus mutano e il Sars-COV-2 non fa eccezione, anche se non è un “variatore seriale” come quello dell’influenza; replicandosi milioni di volte al giorno in milioni di individui in tutto il mondo, presto o tardi qualche particella virale modifica il proprio RNA in modo tale da ottenere una migliore capacità di diffondersi nell’ospite (e non necessariamente diventando più “buono”).

La diffusione delle varianti è stata oggetto di una specifica circolare ministeriale (3) che modifica e rende più rigorosi diversi aspetti della gestione di casi e contatti. Questo è molto importante per due ragioni: l’impatto sulla vaccinazione e l’impatto sull’andamento dei contagi.

Quello del vaccino è il problema minore: è improbabile che le piccole variazioni provocate da una mutazione implichino una differenza tanto grande nelle proteine virali da renderle invisibili alle cellule immunitarie che il vaccino ha prodotto nel nostro organismo. Inoltre, una volta messa a punto la tecnica vaccinale, è piuttosto semplice modificare il filamento di RNA all’interno del farmaco e “aggiornare” di conseguenza i nostri linfociti con un richiamo, così come avviene ogni anno con il ben più variabile virus influenzale.

L’altra preoccupazione è il fatto che un virus più bravo a infettare lo fa anche nelle condizioni in cui, con la vecchia versione, ce se la siamo sempre cavata: se le varianti si dovessero diffondere e dimostrare un R0 molto più alto di quella attuale basterà una mascherina indossata male, una distanza non rispettata, un contatto anche non proprio prolungato con una persona contagiosa per farci ammalare. Le misure restrittive dovrebbero di conseguenza diventare più rigorose per evitare che l’alto numero di contagi ripresenti il problema della saturazione dei servizi sanitari, precipitandoci nuovamente in una situazione che (purtroppo) conosciamo bene.

Conclusione

La pandemia avrà una sua fine, come tutti gli eventi del genere: in via naturale, ciò succederà per l’immunizzazione progressiva della popolazione e per l’adattamento del virus all’ospite umano, fenomeni che si sviluppano nell’arco di anni, in molte ondate epidemiche, come è successo per tante altre patologie in epoca storica. Oggi abbiamo strumenti e tecnologie per rendere più rapido questo processo e superare nel giro di un paio d’anni la più grave crisi sanitaria degli ultimi 100 anni, purché agiamo collettivamente, come comunità, e coordinando gli sforzi.

Come sempre, sta a noi fare le scelte giuste. Stavolta, come specie.

 

(1) https://www.iss.it/rapporti-covid-19/-/asset_publisher/btw1J82wtYzH/content/rapporto-isscovid-19-il-case-fatality-rate-dell-infezione-sars-cov-2-a-livello-regionale-e-attraverso-le-differenti-fasi-dell-epidemia-in-italia.-versione-del-20-gennaio-2021

(2) https://www.aifa.gov.it/astrazeneca

(3)  https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=78702&parte=1%20&serie=null

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