Europa e migranti, naufragio annunciato

Domande aperte sull’accordo raggiunto al Consiglio europeo con un testo che blinda i confini, pone un bando alle Ong, dà mano libera alla guardia costiera libica e investe denaro in Africa per operazioni di intelligence. Ci attendono gravi problemi di coscienza personale e politica

Il Consiglio europeo si è concluso come preannunciato all’esito della pubblicazione dell’accordo tra i 28 rappresentanti dei governi. La decisione più evidente è quella di volere blindare ulteriormente i confini dell’Unione delegando alla Libia – stando a quanto scritto in questo documento – il compito di recuperare i naufraghi nelle acque del Mediterraneo. Che, in queste ore,  sono naufraghi già deceduti. I libici non hanno né esperienza né competenza in certe operazioni in mare che sono davvero molto difficili.

A poche ore dalla conclusione dei lavori, è iniziata la carrellata delle dichiarazioni e delle pagelle. Il primo ministro Conte è soddisfatto all’80%, il ministro Salvini al 70%. L’ex ministro Minniti (artefice degli accordi tra Italia e Libia) è soddisfatto allo 0%.

Il gruppo di Visegrad (alleanza di 4 Paesi dell’Europa centrale, membri dell’Ue, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia,ndr) al 100%. Il ministro Toninelli ribadisce che le ong, organizzazioni non governative, non avranno accesso ai porti italiani, ma siccome lui stesso sa che è una decisione illegittima, nelle ultime ore sta cercando di motivarla con ragioni di ordine pubblico imposte dal Ministero dell’Interno (ma quali?). In sostanza i governi di Italia e Malta non vogliono testimoni che possano riferire ciò che accade nel Mediterraneo (naufragi e respingimenti illegittimi).

Ma le frasi che stanno volando tra uno Stato e l’altro, soprattutto con tweet o comunque con dichiarazioni brevissime rilasciate ai microfoni di radio e tv, ci dicono che il Consiglio europeo è stato attraversato da grandi ipocrisie. Le cose dette e scritte intorno al tavolo del Consiglio sono verità parziali: tornati a casa ciascuno grida all’altro per intero la propria posizione, soprattutto per farsi sentire dall’elettorato di casa (tra un anno voteremo per il Parlamento europeo).

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Macron afferma la volontà di non attivare centri di prima accoglienza, la Merkel ribadisce i limiti alla migrazione secondaria, Salvini risponde “gli italiani prima di tutto” (dalla manifestazione di Pontida risentiremo lo stesso principio). A parte lo stanziamento di soldi per alcuni Paesi africani – e questo è un contributo che non ha finalità umanitarie ma solo di intelligence e di formazione del personale militare e di polizia (“aiutiamoli a casa loro”, ma a fare cosa?) –, il Consiglio non ha cambiato nulla della situazione preesistente al 28 giugno.

Vedremo nei prossimi giorni cosa succederà in mare: ci auguriamo che la Guardia costiera italiana – a cui è stato ordinato di lasciare ai libici le operazioni di blocco delle traversate – possa intervenire appellandosi al diritto di esercitare l’obiezione di coscienza.

E spero che le organizzazioni non governative possano vincere velocemente le loro battaglie legali per tornare a muoversi nel Mediterraneo per salvare vite umane e per testimoniare ciò che sta accadendo.

Intanto altri fronti di disperazione si stanno aprendo e bussano alle porte sigillate della Fortezza Europa. L’Algeria sta assistendo alla morte di migliaia di persone nel deserto e dalla Siria, a seguito dei bombardamenti dei giorni scorsi, è ripresa la fuga di centinaia di persone.

La cosa più difficile in questo periodo è tentare di sostenere il peso della coscienza (personale e collettiva) che non accetta di sentirsi complice delle ingiustizie gravissime che ancora accadono ai giorni nostri. Not in my name, è vero. Ma non basta.

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