Escrivà santo a furor di popolo

Provenienti da 84 paesi del mondo, 300 mila persone tra cui la maggior parte giovani, hanno riempito piazza San Pietro fino a raggiungere con via della Conciliazione, Castel Sant’Angelo. Una folla immensa, ordinata e composta. A Roma per rendere omaggio a José María Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, proclamato ufficialmente santo a soli 100 anni dalla sua nascita. Per qualche giorno, Roma ha rivissuto l’atmosfera dei giorni giubilari con le sue feste, i pullman e i pellegrini. Davvero si può dire che Escrivá sia divenuto santo a furor di popolo. Un po’ come è successo per padre Pio e sicuramente accadrà – così almeno in tanti se lo aspettano – per madre Teresa. È il 464mo santo del pontificato di Giovanni Paolo II. Elevato agli onori degli altari, il suo insegnamento non appartiene più soltanto all’Opus Dei ma a tutta la chiesa. Finito il bagno di folla, c’è ora da chiedersi che cosa del carisma di Escrivá attrae così tante persone. Tv, radio e giornali hanno accompagnato l’evento con speciali e cronache sul campo. Sono andati in onda servizi sull’attività dell’Opera nel mondo, commenti, video in bianco e nero che riprendono Escrivá intento a parlare ai suoi seguaci, esperienze di vita rese da testimonial di tutto rispetto come Navarro Valls, direttore della sala stampa vaticana, ed Ettore Bernabei, direttore della Lux Video. Passa un messaggio forte e chiaro: la testimonianza di un carisma autentico ispirato nella storia dallo Spirito Santo. Si comprende allora che ad unire tutta quella folla, è l’impegno quotidiano a vivere una fede autentica e genuina che non fa notizia. La decisione di far entrare Dio nella propria vita nella consapevolezza “che tutti siamo chiamati alla santità, senza distinzione di razza, di classe, cultura e età”. È l’adesione ad una santità di tutti i giorni, perché, come scrive il fondatore, “troviamo Dio invisibile nelle cose più visibili e materiali”. Milano Passaggio del testimone Dopo 22 anni di episcopato il card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, ha ceduto al card. Dionigi Tettamanzi la guida della diocesi fra le più importanti del mondo e la prima in Europa con i suoi 5 milioni di persone. Martini lascia un segno profondo, un’eredità unica e indimenticabile. Rimarrà il suo amore profondo per la Parola di Dio che sempre ha accompagnato il suo episcopato attraverso le sue lettere pastorali e i discorsi alla città ad ogni vigilia di sant’Ambrogio. Anni in cui Milano ha vis- suto momenti drammatici: dal terrorismo, alle inchieste della magistratura. Martini non è stato solo un arcivescovo lombardo: le sue parole sono risuonate sulle pagine dei giornali ed oltre i confini della chiesa. Insieme a lui la diocesi di Milano ha assunto un respiro ampio, grazie alla sua apertura al dialogo ecumenico, interreligioso e con i non credenti. Ora il testimone passa al cardinale Dionigi Tettamanzi che domenica 29 settembre ha fatto il suo ingresso nella diocesi ambrosiana accolto dall’abbraccio di Martini che gli ha consegnato il pastorale che fu di san Carlo Borromeo, e dal caloroso applauso della folla in piazza. Ecumenismo L’abbraccio con la Romania Erano entrambi vestiti di bianco: il papa si è alzato per abbracciarlo e l’immensa folla dei pellegrini giunta a Roma per la canonizzazione di Escrivá de Balaguer ha seguito in piazza San Pietro quella scena con un lungo e caloroso applauso. È iniziata nel migliore dei modi la visita del patriarca ortodosso di Romania, Teoctist, in Vaticano e in Italia. “Il ritrovarci presso la tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo – ha detto il papa – sia segno della nostra comune volontà di superare gli ostacoli, che ancora impediscono il ristabilimento della piena comunione tra di noi”. Non è la prima volta che il papa e il patriarca romeno si incontrano: era già successo a Roma nel 1989 e nel maggio del 1999, durante la storica visita di Giovanni Paolo II in Romania, la prima in un paese a maggioranza ortodossa. A rendere particolarmente significativo l’evento di questi giorni è il momento delicato dei rapporti tra cattolici e ortodossi. “Anche l’attuale visita – ha infatti sottolineato il papa – è un atto purificante delle nostre memorie di divisione, di confronto spesso acceso, di azioni e parole, che hanno condotto a dolorose separazioni”. Ma “il futuro -, per Giovanni Paolo II – non è un tunnel buio e ignoto”: la “luce vivificante dello Spirito” non soltanto prevale “sulla stanchezza che a volte frena i nostri passi”, ma “ci convince soprattutto che nulla è impossibile a Dio, e che dunque, se ne saremo degni, egli ci concederà anche il dono della piena unità”. Perugia accoglie il metropolita Kirill L’Università di Perugia ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche al metropolita Kirill (Patriarcato di Mosca), “figura di spicco della società e della cultura russa”, che ha “sempre guardato e lavorato per l’incontro fra le chiese cristiane, per la pace, per il rispetto fra i popoli “. Prima di recarsi all’Università, il metropolita è stato accolto al palazzo arcivescovile di Perugia dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti e da tutti i vescovi umbri. Mons. Chiaretti ha ricordato lo stretto legame che unisce Perugia “ai fratelli ortodossi”. Il metropolita ha ringraziato, dicendo: “La storia di questa terra bagnata dal sangue dei primi martiri cristiani e la visita dei suoi luoghi mi riempiono di gioia, perché è l’immagine, come in un sogno, della chiesa indivisa “. Sulla necessità di ritrovare l’unità della chiesa, dopo secoli di divisioni, il metropolita ha detto: “È possibile oggi rimettere insieme i pezzetti del vaso rotto anche se si trovano in stanze diverse… Comprendere questo è uno sforzo ed è una fatica necessaria da compiere insieme per il bene dei cristiani. E questo nostro incontro è già un passo per ricomporre la chiesa”. Vescovi europei No alla guerra in Iraq Hanno scelto la città di Sarajevo, assediata per cinque lunghi anni dal fuoco omicida dei cecchini, per dire no alla guerra e richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla “tragedia interminabile che si consuma in Terra Santa”. Sono i presidenti delle 34 Conferenze episcopali europee che si sono dati appuntamento nella città bosniaca per l’annuale Assemblea plenaria del Ccee, organismo nato durante il Concilio Vaticano II per favorire la collegialità e la comunione tra i vescovi del continente. Europa, giovani, vocazioni, dialogo e rapporti con i movimenti sono stati alcuni dei temi discussi dai presidenti durante l’assemblea che quest’anno è stata coinvolta dalla difficile situazione internazionale in Medio Oriente. In un comunicato finale, i vescovi definiscono “una terribile prospettiva” l’eventuale conflitto armato contro l’Iraq. “La guerra – scrivono – è stata e sempre sarà una cosa orribile”. Per questo, “i leader in Europa e nel mondo hanno il serio obbligo di proteggere il bene globale contro qualunque minaccia alla pace, attraverso tutti i mezzi non violenti a disposizione”.

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