Erano 800 mila e sono disperse

Sono le  donne che nel biennio 2008-2009 sono state licenziate o sono state messe nelle condizioni di dimettersi dal lavoro dopo l’arrivo di un figlio (dati Istat).
Famiglia

Chi le ha viste? Ufficialmente sono disperse. Sono le 800 mila donne che nel biennio 2008-2009 sono state licenziate o sono state messe nelle condizioni di dimettersi dal lavoro dopo l’arrivo di un figlio (dati Istat). Segni particolari: giovani, donne, culturalmente attrezzate.

 

Parliamo di ottocentomila persone che hanno studiato, si sono preparate per svolgere una professione, sono entrate nel mondo del lavoro e magari sono state anche apprezzate da colleghi e superiori per le loro attitudini umane e lavorative. Poi, si è consumato l’errore fatale, l’arrivo di un bambino, un evento sempre più inconciliabile con la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Le immagini un po’ romantiche di mamme ministre, giornaliste televisive o attrici che dopo avere esibito orgogliose la propria maternità si presentano al pubblico in forma smagliante e con bebè al seguito, non sono uno specchio fedele delle italiane. Molto più spesso le giovani mamme, affrontate le incertezze della maternità, al ritorno in ufficio trovano la loro scrivania occupata da un nuovo collega, oppure vengono retrocesse a mansioni di minore impegno; talvolta vengono licenziate, altre volte levano il disturbo in silenzio, provate dalla fatica di conciliare famiglia e lavoro.

 

Qualcuno potrà salutare questo ritorno a casa delle donne con sollievo, immaginando che così potranno concedersi più di un figlio o dedicare più tempo alla famiglia. Ma la demografia è scienza dei paradossi e nella realtà accade esattamente l’opposto. Se fino agli anni Ottanta la fecondità era più alta nei Paesi dove le donne non lavoravano, negli ultimi anni i Paesi a bassa occupazione femminile, come l’Italia, sono quelli che registrano la riproduttività più bassa. Che significa: più donne a casa, meno figli. Quindi in termini di strategia politica, solo aumentando l’attività lavorativa delle donne potremo avere una ripresa della fecondità, come osserva il demografo Massimo Livi Bacci.

 

Quelle 800 mila donne sono una risorsa civile e culturale che non possiamo permetterci di perdere. Ognuna è una storia da raccontare, un’intelligenza da mettere al servizio della società, un talento da far fruttare. Come Marta che incontro al parco e ha una laurea in lettere nascosta nella borsetta. O Alessandra che al supermercato sa leggere gli ingredienti dei prodotti alimentari, come faceva da biologa di laboratorio. O Lucia che dopo dieci anni di fabbrica e un bambino appena nato ha perso ogni sicurezza. La ripresa economica italiana non potrà avvenire senza di loro.

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