Ecuba nostra contemporanea

Nella magica cavea siracusana, finalmente due scenografie senza interventi che ne chiudano il respiro visuale e naturale. Per Ecuba, una landa beckettiana di dune sabbiose con solo un albero carbonizzato, segno lasciato dalla distruzione di una guerra. Per Le troiane un riferimento più attuale: fra bidoni di benzina sparsi per terra, nella caligine di un fumo che s’alza, svetta lo scheletro piegato di un palazzo bruciato (la città di Troia), che rimanda alle rovine delle Twin Towers. Immagine totemica, insieme contemporanea e di un’antica civiltà, che la stessa atemporalità dei costumi riconduce alle atrocità del tempo che ci appartiene. E sono le grandi parole di Euripide a dircelo, trepidanti d’angoscia e affascinanti per ricchezza lirica, che potremmo sintetizzare in: Aborrisce la guerra chi ha senno. Il fulcro di entrambe le tragedie, che l’Istituto Nazionale del Dramma Antico ha quest’anno scelto in una continuità tematica che le lega, è l’anziana regina Ecuba, simbolo di un popolo annientato dalla guerra. E non importa se ne Le troiane – le donne del popolo sconfitto e rese schiave dei vincitori – passa in secondo piano la dimensione più corale: quella che, per esempio, nella memorabile edizione di Thierry Salmon a Gibellina, è raffigurata dalle donne che ricercavano nella polvere con le unghie le vesti insanguinate dei loro cari morti per assicurare una continuità alla loro cultura; o quella più recente di Irene Papas sull’eterna sventura della deportazione di massa: la tragedia infatti offre così tante letture che un regista può farne quello che vuole. Questa dello spagnolo Mario Gas dopo l’inizio brechtiano punta all’alternanza, quasi ritmica, di vita e racconto delle vicende, ma senza un’ idea registica unitaria. Soccorre nel ruolo principale la superba presenza di Lucilla Morlacchi la cui voce, senza bisogno di enfasi, arriva al cuore. Ottima resa anche quella di Luca Lazzareschi, il messaggero greco Taltìbio, e della vaneggiante e furiosa Cassandra di Cristina Spina, mentre l’Elena di Giovanna Di Rauso imprigionata, soffre di un eccessivo urlare. E spesso l’insie- me della messinscena si disperde. Tiene invece desta la pena, l’orrore, il fiato mentale, fino all’ultimo, l’Ecuba di Massimo Castri. Già affrontata in una bellissima edizione con Anna Proclemer dove, su cumuli di macerie bagnati da una pioggia battente come dopo un bombardamento, evocava il conflitto dei Balcani, questa Ecuba punta sulla parola interiorizzata e sulla trasformazione fisica e mimetica di Elisabetta Pozzi, un’interprete dal carisma attoriale come poche, i cui toni modulano quella sterilità dello spirito che è causata dall’eccesso di violenza e dall’assenza di valori. Diventa una vecchia rattrappita che per quasi tutto il tempo trascina instancabilmente i cadaveri dei suoi figli disseminati sulla spianata per riunirli sotto l’albero. Questa immagine, insieme all’apparizione del Coro con grandi valigie in mano contenenti ricordi e oggetti, è uno fra i momenti di più felice figuratività. La regina ormai deposta dopo aver visto morire i suoi cinquanta figli, si troverà a piangere anche la morte di altre due sue creature rimaste superstiti. Ma se l’esecuzione di Polissena servirà soltanto quale ulteriore carico di disperazione, la morte di Polidoro, ucciso dal cinico Polimestore per rubargli l’oro, scatena nella madre lo spirito della vendetta, spingendola ad accecare l’ospite sacrilego e a ucciderne i due figli. Dolore chiama dolore, i lutti esigono altro sangue: così è sempre nel mondo senza dèi di Euripide. Su quel che rimane in questo deserto dell’anima s’ode, in apertura e in chiusura, la cantilena di un bimbo. Canto di speranza o di disperazione? È più un rimprovero – dice Castri – come sanno fare i bambini quando non ti parlano più. Unico appunto l’amplificazione della voce ormai divenuta, sembra, d’obbligo negli ultimi anni, che ci priva però di suoni più veri ed emozionanti. Giuseppe Distefano Al Teatro greco di Siracusa fino al 25 giugno. CIRCO E DANZA A BRESCIA Che succede se hip-hop e circo s’incontrano? E se un grande giocoliere francese ci conduce in un paesaggio sonoro all’Estremo Oriente? E se un marionettista australiano ci racconta la caduta di Hitler e i deliri di onnipotenza del dott. Frankenstein? Lo si scoprirà con la prima edizione del nuovo progetto firmato da Gigi Cristoforetti più Festival, l’emozione del corpo (a Brescia dall’8/6 al 7/7): ancora il circo contemporaneo contaminato da una relazione vivificante con altre discipline. Spettacoli all’aperto e nei teatri con oltre trenta rappresentazioni fra cui Bread&Puppet Company, Pierre Rigal, Mourad Merzouki, Furiosas, Martin Zimmermann, Neville Tranter, Michèle Anne De Mey, Pippo Delbono, Virgilio Sieni. www.piufestival.it

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