E’ festa in Germania

Noi siamo papa! titolava a grandi lettere la rivista popolare Bild il giorno dopo l’elezione del card. Ratzinger a papa Benedetto XVI. Mostra la trasformazione, in pochi giorni, delle opinioni della gente tedesca sul nuovo pontefice. Sorprende la quasi identificazione con una persona che fino a poco fa aveva fama d’essere il conservatore per eccellenza, l’ostacolo al rinnovamento personificato; addirittura lo chiamavano il terrore degli studiosi. E ora: Noi siamo papa!. Si parla con orgoglio di questo tedesco timido , profondamente spirituale, magnifico teologo, amabile, intelligentissimo e fedele a sé stesso : tutte espressioni pubblicate sul nuovo papa Benedetto XVI. E non ci si spaventa più se qualcuno evidenzia come Joseph Aloisius Ratzinger sia sempre stato sincero e dritto, seppur non troppo diplomatico. Il paesino di Marktl in Baviera, con neanche 3 mila abitanti, ha visto nascere Joseph il 16 aprile 1927 da una semplice famiglia di agricoltori. Fu battezzato nella notte di Pasqua: Sono sempre stato grato per il fatto che in questo modo la mia vita è stata immersa sin dall’inizio nel mistero pasquale, perché ciò non poteva essere altro che un segno di benedizione , ricorda il nuovo papa. Il piccolo Joseph era silenzioso e timido, al punto che taluni suoi coetani sono convinti di non averlo mai sentito gridare da bambino. A causa delle difficoltà economiche, fu suo padre stesso – un commissario di gendarmeria – a dare per un certo periodo la prima istruzione al bambino. Da adolescente studiò poi nel seminario minore di Traunstein, a partire del 1938. A soli 16 anni venne arruolato nei servizi ausiliari antiaerei del regime nazista. La vocazione ecclesiastica, nel frattempo, cominciò a maturare in lui, anche come reazione agli orrori della guerra. Nel 1951 finì gli studi di filosofia e teologia alla scuola superiore di Frisinga, fu ordinato sacerdote ed iniziò l’insegnamento. Del 1953 è la dissertazione Popolo e casa di Dio nella dottrina della chiesa di sant’Agostino. Quattro anni più tardi otteneva la libera docenza con un lavoro su san Bonaventura. Successivamente insegnò teologia a Frisinga, Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona. Durante le lezioni di Ratzinger l’uditorio era assolutamente silenzioso , ricorda Kurt Gartner, che l’ha avuto come docente a Frisinga dal ’56 al ’59. Gli studenti lo chiamavano il ragazzino, non solo per la sua giovane età, ma per la sua statura e la sua timidezza. Nel corso di lunghe passeggiate, abbiamo parlato delle mie brucianti domande teologiche, racconta l’attuale parroco. Il docente, di solo otto anni più anziano, non gli dava risposte prefabbricate, ma gliele faceva scoprire a poco a poco. Qualche volta i singoli dialoghi si prolungavano per mesi interi. Gartner ancora oggi si dice impressionato dal modesto stile di vita del giovane Ratzinger e della sua profonda spiritualità. Ricordo che spesse volte leggeva la Sacra Scrittura per ore e ore. Mai Gartner dimenticherà la lettera che Ratzinger gli scrisse per la sua ordinazione sacerdotale. Lo incoraggiò non solo a donare la sua vita al Signore, ma anche la sua fragilità, le sue imperfezioni. Un atteggiamento che il neoeletto papa sembra richiedere anche a sé stesso. Nel 1962 il card. Joseph Frings, arcivescovo di Colonia, chiese al 35enne prete di accompagnarlo come consulente teologico al Concilio Vaticano II. Le sue pubblicazioni di quel decennio divennero classici della teologia cattolica; fra queste il celebre Introduzione al cristianesimo (1968). Il giovane Ratzinger era noto come teologo aperto ed attuale, che tuttavia non recideva le proprie radici. Si oppose alla critica aggressiva che proveniva dalle rivoluzioni studentesche di allora, nella quale vedeva il volto crudele di una pietà atea. Una volta nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e fatto cardinale nel 1977, qualcuno cominciò a definirlo un conservatore, fama che si è fatta in seguito sempre più insistente. Solo quattro anni più tardi Giovanni Paolo II chiamò l’arcivescovo bavarese vicino a sé e gli affidò, fra l’altro, la guida della Congregazione per la dottrina della fede. Compito che lo rese assai presente nel dibattito pubblico e molto vicino al papa. Nei paesi di lingua tedesca – tra teologi cattolici, ma pure tra cristiani di varie chiese – si discutevano appassionatamente certe decisioni del cardinale: la decisa disapprovazione di certe tendenze maturate all’interno della teologia della liberazione; la dichiarazione Dominus Iesu che tanti nei paesi della Riforma interpretavano come rifiuto del progresso ecumenico. Vennero criticati la sua opposizione al sacerdozio della donna, il chiarimento riguardo al ruolo dei laici nella liturgia, ecc. Giovanni Paolo II dimostrò piena fiducia in Ratzinger, e quattro volte gli chiese di prolungare il servizio rifiutando le sue dimissioni. Non si rimane certo indifferenti quando si viene identificati come capro espiatorio – disse una volta il cardinale -. Ma non si può portare avanti cose grandi senza essere bastonati a causa di esse. Non amava i conflitti, ma la sua serietà e sincerità gli vietavano di accettare compromessi al ribasso. Nel 1995, in un colloquio con Johann Christoph Arnold, responsabile della comunità evangelica Bruderhof, così Ratzinger spiegò la sua visione dell’ecumenismo: È importante per noi comprendere che non possiamo riuscire a raggiungere l’unità attraverso manovre diplomatiche. Il risultato sarebbe una struttura diplomatica basata su princìpi umani. Invece dobbiamo aprirci sempre di più a Dio. L’unità che egli porta è l’unica e vera unità. E fu questo dialogo che il cardinale tedesco portò avanti nel silenzio. Molto significativo è un racconto del noto ecumenista Heinz Schütte: nel 1998, durante gli ultimi lavori di preparazione della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, si palesarono grossi malintesi fra il Vaticano e la Federazione luterana mondiale, col risultato che la convenzione stava per fallire. In una serie di articoli pubblicati da Schütte, Ratzinger sembrò individuare una via di uscita dal conflitto. Potrebbero – così scriveva di suo pugno all’ecumenista cattolico – essere in grado di trovare un vero consenso differenziato. Una volta arrivate alla Federazione luterana mondiale, queste righe nutrirono nuova speranza. Poco dopo, nel novembre 1998, il card. Ratzinger si incontrò a Ratisbona con le personalità più coinvolte: Johannes Hanselmann, suo amico e vescovo evangelico, Joachim Track, teologo evangelico e presidente del comitato esecutivo della Federazione luterana mondiale, e il cattolico Heinz Schütte, per preparare una nota aggiuntiva che permetterà poi la firma del documento ecumenico conclusivo, nell’ottobre 1999. Ratzinger è tornato frequentemente nella sua terra natale, rendendo visita soprattutto a suo fratello maggiore Georg. La gente che lo riconosceva mentre sostava alla fermata dell’autobus, lo ricorda molto gentile, aperto nelle brevi conversazioni: un cardinale umile, vicino e avvicinabile. Sarà dunque un papa umile e vicino, uno dei nostri. Per questo si capisce meglio il titolo Noi siamo papa!.

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