Il dottore dei poveri

È morto Mohamed Mashali, un piccolo-grande uomo, un lavoratore sociale, "il dottore dei poveri" che per gran parte della sua vita ha curato i poveri senza farli pagare.

Solidarietà, generosità e misericordia nei mondi musulmani (al plurale, please!) non sono elementi estranei alla normalità della vita dei fedeli. Come e anche di più rispetto ad altri mondi religiosi e di pensiero, vengono vissuti dai credenti islamici. Non a caso uno dei cinque pilastri della fede musulmana, va ricordato, è la zakāt, l’obbligo religioso prescritto dal Corano di “purificazione” della propria ricchezza. Ogni musulmano deve imperativamente adempiere tale “elemosina” per definirsi un vero credente. È una pratica che nei secoli ha visto estendersi ampiamente il suo significato, non essendo solo una pratica condiscendente e compassionevole, ma l’attuazione di un imperativo, sociale e religioso nello stesso tempo.

Nel mondo musulmano, poi, tali qualità solidaristiche, che per certi versi potrebbero apparire più “femminili”, secondo stereotipi duri a morire, sono in realtà prerogativa anche dei maschi. Così, ad esempio, è celebre il caso del social worker, dell’operatore sociale Edhi Abdul Sattar, nato indiano e poi passato in Pakistan nel 1948, scomparso qualche anno fa e chiamato familiarmente niente meno che “la Madre Teresa dei musulmani”. Sattar e sua moglie Bilquis aiutavano centinaia di migliaia di persone con mille iniziative diverse.

Ecco che ora scompare un’altra figura leggendaria del mondo solidaristico islamico: in Egitto lo chiamavano semplicemente il “dottore dei poveri”. Operava nella città di Tanta, nel delta del Nilo. A 76 anni Mohamed Mashali se n’è andato, dopo che nella sua clinica per mezzo secolo ha visitato centinaia di migliaia di poveri facendoli pagare poco o nulla. Nato nel 1944 a Beheira, laureato all’Università del Cairo nel 1967, Mashali ha lavorato in molti centri medici rurali e nel 1975 ha finalmente coronato il suo sogno: aprire una sua clinica a Tanta, dove poter stabilire liberamente le tariffe da praticare per i pazienti poveri.

Ma c’è di più: non si accontentava di visitare nella sua clinica, ma lui stesso si recava nei sobborghi più poveri della città. Quasi sempre chiedeva solo 50 centesimi per la visita, e solo a chi quelle 5 sterline egiziane se le poteva permettere. E spesso offriva anche le medicine necessarie. Per di più, mai ha voluto fare distinzione tra chi era musulmano o cristiano.

Aveva deciso di comportarsi della sorta per la morte di un suo giovane paziente diabetico, la cui madre gli disse che non aveva i soldi necessari per comprare l’insulina, come d’altronde non ne aveva per dar da mangiare ai suoi figli. Innumerevoli sono le testimonianze di persone aiutate dal dottor Mashali, che sottolineano la sua bontà d’animo, la disponibilità assoluta a servire chiunque fosse nel bisogno, a interessarsi non solo delle condizioni mediche dei pazienti, ma anche del contesto familiare e sociale nel quale si trovavano a vivere. Per poterli curare meglio.

Su Internet la sua fama sta spargendosi a macchia d’olio. Da notare che la nomea non si trova limitata al mondo egiziano e musulmano, ma viene spargendosi in contesti musulmani e non musulmani d’ogni genere, anche sciiti ad esempio. «Il fatto è che la misericordia, la solidarietà, la generosità non hanno colore, né religione, né partito, ne nulla che possa creare qualcosa di diverso che dei ponti. In questi anni difficili, esempi come quello del dottor Mashali possono invertire la tendenza sempre più diffusa di cerare muri», ha detto un giovane medico del Cairo ad una televisione egiziana.

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