Don Ciotti: il dopo Riina potrebbe essere molto doloroso

Il fondatore di Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, parla della successione del defunto capo di Cosa Nostra e del suo timore di gesti eclatanti contro figure eccellenti del Paese. Don Ciotti parla anche delle “guerre” sanguinose in atto in provincia di Foggia, a Napoli e degli ultimi fatti di Ostia. Poi ci sono la camorra, la Santa della ‘ndrangheta e i tentacoli della piovra arrivati al Nord e oltre…

«Attenzione. Cosa succederà dopo Riina? Come sarà adesso la successione?». In passato, a volte, «questi passaggi per prendere il potere sono stati molto dolorosi». Don Luigi Ciotti, fondatore dell’Associazione Libera, non nasconde la preoccupazione dopo la morte del capo di Cosa Nostra.

Invitato a parlare delle mafie, nel corso di un incontro moderato dal caporedattore di Avvenire, Toni Mira, nella parrocchia romana di San Giovanni Battista De Rossi, alla presenza del vescovo ausiliare di Roma Est, monsignor Giuseppe Marciante, e del parroco Mario Pecchielan, spiega: «Il questore di Palermo (Renato Cortese, ndr), bravissima persona, continua a lanciare l’allarme: stanno uscendo di prigione i mafiosi del maxiprocesso. Lui alza la voce, dice: attenzione, stanno tornando sul territorio, li vediamo. C’è un bravo questore che lancia un segnale» e – sottolinea don Ciotti -, se non cogliamo questi segnali adesso, se ne pagheranno le conseguenze dopo.

«Non sarà tutto semplice per la successione di Totò Riina e lo dico augurandomi che questo non sia». I vari gruppi mafiosi, tuttavia, spiega don Ciotti, si confronteranno tra loro, per dimostrare «che sono i più bravi, i più forti e non vorrei che scelgano le figure eccellenti del Paese» per dimostrare fino a che punto possono arrivare per conquistare il potere.

«Aveva ragione Paolo Borsellino», aggiunge il sacerdote, quando – nei giorni del maxi-processo – a chi parlava di Piovra decapitata e di mafia sconfitta, disse: “È una perniciosa illusione”. Non bastano i processi, se non c’è continuità, attenzione, nella lotta alla criminalità organizzata. Un contrasto che non basta che parta dal basso. Deve invece partire da dentro ogni persona, soprattutto in un momento di grande sofferenza come quello attuale.

«Le mafie – afferma don Ciotti – sono forti quando la politica è debole e la democrazia è pallida» e la debolezza dello Stato è evidente. Quello che sta finendo, aggiunge stringendo in mano il Rapporto della direzione nazionale antimafia presentato al Parlamento europeo, è stato un anno di successi investigativi e processuali, ma le mafie storiche non sono in crisi, hanno solo cambiato pelle e strategie. Scorre, è vero, meno sangue, perché sta prevalendo una scelta nuova, il metodo corruttivo. Restano però dei «luoghi di sangue: Napoli città e la provincia di Foggia». Qui, sottolinea don Ciotti, «ci sono stati, in un grande silenzio, 300 morti», provocati da una storia criminale lunga e sottovalutata.

FRANCO ROBERTIDal rapporto firmato dall’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, al quale da poco è subentrato il magistrato Federico Cafiero De Raho, emerge una ‘ndrangheta presente «in quasi tutte le regioni italiane, nonché in vari Stati, non solo europei, ma anche in America, Stati Uniti e Canada, e in Australia». Una ‘ndrangheta guidata da una “struttura riservata di comando”, denominata “santa”, presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia. Esiste una minaccia eversiva che rischia di minare la stessa democrazia e i recenti arresti, che hanno portato in carcere politici, parlamentari, rappresentanti della massoneria deviata e addirittura un prete, lo dimostrano.

Anche in Campania la camorra avrebbe scelto una nuova strategia, di lungo respiro, basata sulle infiltrazioni nei tessuti dirigenziali del territorio, agevolata da legami stretti con politici ed imprenditori. Stessa capacità di infiltrazione ce l’ha Cosa Nostra. In Sicilia e negli altri luoghi di influenza della mafia, il metodo corrosivo-corruttivo ha progressivamente sostituito l’azione di fuoco, infettando la cosa pubblica. Ma come diceva un secolo fa don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare, da cui poi nacque la Democrazia cristiana, se la mafia ha i tentacoli in Sicilia (lungo tutta l’Italia e anche fuori i confini del Paese), ha però la testa a Roma, dove si intrecciano tante responsabilità.

Qui la magistratura, nel recente processo noto come Mafia Capitale, ha escluso la modalità mafiosa, pur ammettendo il reato di associazione per delinquere. Eppure, è stata riconosciuta la presenza della ‘ndrangheta in un locale pubblico proprio di fronte a Palazzo Chigi e, in un solo giorno, sono state chiuse 34 attività commerciali, tra bar, ristoranti e caffetterie. Ad Ostia, inoltre, si è tornato a sparare. Più volte sollecitato sull’argomento, don Ciotti ha spiegato che esiste «una guerra tra due famiglie, Spada e Fasciani». Segno che «si è riaperto il conflitto, anche armato, per il dominio sul territorio».

OstiaTuttavia, nonostante una situazione difficile, don Ciotti ha più volte sottolineato che non bisogna dimenticare il positivo. Assumersi le proprie responsabilità è un dovere, ma anche un atto d’amore. E quando a scendere in campo sono tante organizzazioni, come quelle che compongono ad esempio Libera, si può andare avanti insieme. Ognuno, però, deve rimboccarsi le maniche. C’è bisogno, ribadisce il sacerdote, «di cittadini responsabili».

A chi teme che le organizzazioni criminali non possano essere sconfitte, don Ciotti ricorda che – invece – sono già stati aperti dei varchi, grazie alle donne che si stanno ribellando alla criminalità organizzata. Donne che, insieme ai propri figli, vogliono liberarsi dall’abbraccio mortale in cui sono strette.

Adesso, ha detto ancora don Ciotti, è di moda parlare della legalità. Ma la legalità non deve essere una moda. La legalità deve essere la saldatura tra la responsabilità personale e la giustizia. «Giovanni Falcone – ha ricordato il sacerdote – aveva detto che la lotta alla mafia è una battaglia di legalità e di civiltà», civiltà che significa anche avere un lavoro, politiche per la famiglia e per la casa, un maggiore impegno educativo, perché la conoscenza è la via maestra del cambiamento e, come diceva il magistrato Antonino Caponnetto, “La mafia teme più la scuola che la giustizia”. Eppure, ancora oggi, purtroppo, un giovane su tre si perde nei 5 anni delle scuole superiori, allora non basta lamentarsi, ma bisogna darsi da fare, ciascuno di noi, facendo la nostra parte nel luogo in cui viviamo.

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