Don Chisciotte della chitarra

Ma un cantautore, conviene ascoltarlo cantare… “Mio padre in fondo aveva anche ragione / a dir che la pensione / è davvero importante. / Mia madre non aveva poi sbagliato / a dir che un laureato / conta più di un cantante… “. Sì, Guccini ha sempre avuto quel salutare, filosofico, distacco dalla serietà della vita. Pur non rinnegandola mai, la serietà. Ora la laurea viene anche per lui, per il simpatico, sincero e gigantesco modenese che da giovane, pur avendo terminati tutti gli esami della facoltà di Magistero non si laureò, per dedicarsi anima e tutto alla canzone (per sua e nostra fortuna). Una laurea ad honorem in Scienze della formazione dall’università di Bologna, Modena e Reggio Emilia, per le sue attività culturali di scrittore, linguista e romanziere, che gli verrà consegnata il prossimo autunno nel corso di una cerimonia solenne al Teatro Comunale di Reggio Emilia. Una laurea che cambierà ben poco la sua vita, ma che s’inserisce in un momento ricco di riconoscimenti e tappe importanti per il sessantaduenne cantautore. 35 anni fa usciva infatti il suo primo disco Folk beat n° 1 e Rai Tre ha mandato in onda un documentario per celebrare l’artista, che dalla televisione è sempre fuggito come dalla peste. Guccini, cantautore, non si può rinchiuderlo in una classificazione, conviene ascoltarlo… “Nel mondooggi più di ieri domina l’ingiustizia / ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia / proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto / d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto…”. Così canta in Don Chisciotte. Lui, al suo sogno matto ha cercato di rimanere fedele. E le sue canzoni continuano a pungere, a provocare quello che dentro di noi non aspetta che d’essere svegliato, ma che per svogliatezza e pigrizia potrebbe anche continuare a dormire. Lui ha tentato, quello che poteva: a scrivere canzoni tirate fuori con le tenaglie dal cuore, a non conformarsi ai ritmi della macchina discografica seguendo invece il suo istinto e la sua ispirazione, a dimostrare che c’è una parte del mondo musicale che non ha come unico valore quello del mercato. Ha composto canzoni indimenticabili, ha scritto romanzi (Croniche Epafàniche, Vacca d’un cane, Racconti d’inverno, La legge del bar e altre comiche), anche gialli (Macaronì, Un disco dei Platters). Ma il suo ritratto sarà sempre quello: sala di concerto, lui seduto sulla sedia, chitarra in mano, a parlare col pubblico come si fosse in famiglia, o in un’osteria tra amici, a centellinare un po’ di vino rosso tra una canzone e l’altra, a regalare emozioni che ci trasportano fra le sue idee politiche, le sue risate, le sue tristezze, i suoi amori, le sue angosce più intime. Guccini, cantautore, ha tanti volti. C’è quello dell’irriducibile anarchico che però, quando si deve, vota sinistra. Ma anche di politica, conviene ascoltarlo cantare… “… e sembra dire ai contadini curvi / il fischio che si spande in aria: / Fratello non temere / che corro al mio dovere! / Trionfi la giustizia proletaria! “. Dice il suo caro amico e collega cantautore Roberto Vecchioni: “Si scrive Guccini, si legge locomotiva, ma paradossalmente La locomotiva è la canzone meno gucciniana fra tutte, una perla isolata e magnifica, tutta sua, ma lontana parecchio dalle forme ricorrenti, dal procedere per esclusione di certezze, dall’individuar lampi occasionali di verità. Probabilmente è La locomotiva ad aver convinto Guccini di essere, come dice, un cantastorie, cosa che non è. Guccini è un “cantapensiero”, è un “cantadubbio”, il più alto, il più vero, il più sparpagliato e sincero che si conosca. La locomotiva riunisce, accorpa in pochi minuti tutti i rari lampi di verità sparsi di qua e di là in concessioni avare per dischi e dischi”. C’è il volto di Guccini “cantadubbio”, un po’ filosofo, un po’ malinconico. Cantore ostinato del tempo che sfugge, per cercare di fermarlo, imbrigliarlo: “E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito / quanto tempo è ormai passato e passerà! / Le orchestre di motori / ne accompagnano i sospiri, l’oggi dove è andato l’ieri / se ne andrà”. Lui non si è accomodato nel recinto delle verità facili, s’è spinto incessantemente a cercarne l’orlo. Là dove non si riesce più a decifrare la realtà in certezze, e si può cogliere soltanto la sfida del dubbio: “… nel nulla sfuma ormai la verità”, canta in una delle sue canzoni più spigolose. Forse per questa tenace sincerità, nelle sue canzoni, ha tocca- to il cuore di molti. Ma Guccini, spirito conviviale, non ama crogiolarsi nella tristezza. Suo antidoto allo scorrere inesorabile del tempo è saper apprezzare le gioie effimere della vita: l’amicizia, il pur labile amore, una serata in trattoria, le convinzioni politiche, il bere e il mangiare, le canzoni di Dylan. E suo grande antidoto alla tirannia del dubbio è il saper cogliere, negli istanti di vita quotidiana, immagini altrimenti sfuggenti che con la sua sensibilità e arte immobilizza, rendendo durature. Affiorano così, nei testi delle sue canzoni, con pennellate di squisita dolcezza, le immagini d’un mondo antico che s’estende fra i boschi di Pavana, l’amato villaggio dell’Appennino toscano, terra dei suoi nonni.Immagini di personaggi umili, timidi e modesti, nei quali egli coglie con commozione la grandezza dell’abitudine che s’innalza a virtù: “Lo sento da oltre il muro / che ogni suono fa passare / l’odore quasi povero di roba da mangiare. / Lo vedo nella luce che anch’io mi ricordo bene / di lampadina fioca, quella da / trenta candele… Mi dice cento volte / fra la rete dei giardini / di una sua gatta morta / di una lite coi vicini / e mi racconta piano / col suo tono un po’ sommesso / di quando lui e Bologna / eran più giovani di adesso”. Guccini, cantautore, è soprattutto poeta. Anche se non ha mai preteso di fare poesia con le sue canzoni, conviene, in silenzio, ascoltarlo cantare: “…Ed in estate, se il vento raccoglie / l’invito fatto da ogni gemma fiorita / sventoleremo bandiere di foglie / e canteremo canzoni di vita./ E così, assieme, vivremo in eterno / qua sulla terra, l’albero e io/ sempre svettanti, in estate e in inverno / contro quel cielo che dicon di Dio”. Una voce aspra, per certi versi un po’ sgradevole, la sua. Quasi una sfida per lui diventare cantante. Spesso accusato di arrivismo o qualunquismo. Lui del resto ha sempre negato di voler fare rivoluzioni con le sue canzoni. Anche se testi come La locomotiva, Auschwitz e Dio è morto sono diventati quasi degli inni. Lui, Don Chisciotte con la chitarra, ha cercato in tutto questo di restare fedele a se stesso, dando quello che poteva. Ma pescandolo giù nelle profondità del cuore. Rifiutandosi di rinunciare. “Cinque anatre andavano a sud / forse una soltanto vedremo arrivare / ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare / che bisognava volare…”. “Guccini è un cantore da vaste pianure… è omerico, procede per agglomerazione, ha una gran sfacciataggine nell’osare una metafora dietro l’altra”.

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