Domande ostinate su guerra, armi e politica

La Camera ha ospitato la seconda sessione, in sede istituzionale, del percorso avviato dal Movimento dei Focolari in Italia sul commercio di armi dal nostro Paese nelle zone di conflitto. Confronto aperto con parlamentari e associazioni
Armi

Grazie al Movimento politico per l’unità italiano si è tenuto lo scorso 5 luglio, nella sala della Regina della Camera dei deputati, un seminario dibattito tra alcuni parlamentari e rappresentanti delle associazioni sulla questione della produzione e commercio di armi che vede il nostro Paese direttamente interessato nel contesto geopolitico mondiale contrassegnato da numerosi e irrisolti conflitti armati.

 

Colpisce in maniera particolare la vicenda delle bombe prodotte nello stabilimento di Domusnovas in Sardegna per essere inviate in Arabia Saudita, che guida una coalizione impegnata nei bombardamenti aerei nello Yemen, un conflitto passato sotto silenzio sulla stampa ma denunciato dall’Onu per le migliaia di vittime civili coinvolte.

 

L’iniziativa di concorrere a mettere al centro della riflessione civile e politica la questione degli affari legati alla produzione e commercio di armi è una risposta del Movimento dei Focolari in Italia alle continue e puntuali sollecitazioni di papa Francesco. Il metodo, come sempre, è quello di fare appello alla coscienza e al dialogo sostenendo chi opera da tempo su questo fronte nel segno della ricerca della pace.

 

Qui di seguito una cronaca dell’incontro del 5 luglio che si può rivedere sul canale video  http://www.flars.net/livemppu/

 

 

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A riparo dal caldo asfissiante di Roma, infatti, nei giorni scorsi, per circa 4 ore, un salone della Camera dei deputati ha ospitato il seminario “Guerre, scelte di pace e riconversione industriale” promosso dal Movimento politico per l’unità (Mppu)  che, in Italia, con il presidente Silvio Minnetti, cerca ostinatamente di creare spazi di dialogo tra pezzi della cosiddetta società civile e i parlamentari disposti a confrontarsi su temi concreti come, appunto, l’aumento significativo negli ultimi anni dell’export di armi verso i Paesi del Medio Oriente.

 

Il caso esemplare riguarda un’azienda tedesca produttrice di bombe che, dal maggio 2015, spedisce dall’Italia carichi di armi pesanti via nave e aeroplano verso l’Arabia Saudita. Una nazione che, senza alcun mandato dell’Onu, guida una coalizione impegnata nella campagna di bombardamenti aerei nello Yemen contro gli Houthi, un gruppo armato sciita sostenuto dall’Iran. I sauditi, tra i maggior acquirenti di sistemi d’arma a livello mondiale, guidano un vasto raggruppamento composto da Bahrain, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Marocco e Sudan.

 

Come ha fatto notare, nella prima relazione del seminario, il professor Maurizio Simoncelli dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha documentato, relativamente al conflitto in Yemen, un totale di 3 mila e 81 civili uccisi e 5 mila 733 feriti a partire dall’inizio dell'intervento della coalizione (26 marzo 2015).

 

Il rapporto dell’Onu sui bambini in conflitti armati, diffuso il 2 giugno 2016, ha rilevato, inoltre, che la coalizione guidata da Riyad si è resa responsabile del 60% delle vittime infantili nel corso del 2015, uccidendo 510 bambini e ferendone 667, con la metà degli attacchi su scuole e ospedali. Affermazione, quest’ultima, rimossa su richiesta dell’Arabia Saudita.

 

La violazione della legge 185 del 1990

 

Le bombe non partono dalla Germania perché il governo tedesco ha posto un divieto di trasferimento di armi in Arabia Saudita, mentre non ha trovato ostacoli il tragitto che inizia dalla Rwm Italia Spa, azienda sita a Domusnovas nel centro della Sardegna ma controllata dalla capofila germanica. Un amaro paradosso, come aveva notato, lo scorso aprile, Giorgio Beretta, analista dell’osservatorio Opal, che vede unite tragicamente tra loro lo Yemen, la nazione più povera del Golfo Persico, con una delle zone più esposte alla crisi economica in Italia.

 

A dire il vero anche nel nostro Paese esiste una norma (la legge 185/90) di grande civiltà che vieta di vendere armi a nazioni in guerra o che violano i diritti umani. Contro questa palese inosservanza del diritto (l’ultimo invio da Cagliari è registrato a marzo 2016) è stato presentato esposto alla magistratura. Tutti i media hanno, invece, riportato le dichiarazioni soddisfatte del nostro governo per aver concluso il contratto di vendita per 8 miliardi di euro di 28 caccia bombardieri Eurofighter al Kuwait e 5 miliardi di euro per mezzi navali e sistemi d’arma al Qatar, oltre ad altri contratti già in essere con i restanti componenti della coalizione saudita.

 

Sulla questione è intervenuto, durante l’incontro promosso dal Mppu in collaborazione con tante altre associazioni, il senatore Roberto Cotti, del M5S impegnato da sempre nella tavola sarda per la pace, per confermare la mancanza di risposte alle sue interpellanze parlamentari in materia. Stesso discorso vale per le istanze presentate dall’intergruppo sulla pace coordinato dal deputato Giulio Marcon (Sel/Si) che non è intervenuto nel seminario ma ha fatto la spola tra l’incontro sulle armi e quello contemporaneo sul Ttip tra il ministro dello Sviluppo, Calenda, e i movimenti contrari al trattato commerciale atlantico. Un tema strettamente legato agli equilibri di potere strategici a livello mondiale.

 

Presi dalle operazioni di voto e altri atti istituzionali, i deputati Edo Patriarca (Pd), Antonio Palmieri (FI) e Milena Santerini (DemSol) hanno benevolmente salutato all’inizio senza entrare nel merito, anche se Palmieri ha rivendicato con orgoglio il suo voto favorevole nel 2003 all’intervento in Iraq perché «le armi sono necessarie per fermale il male» mentre la legge 185/90 che ne regolamenta il commercio «ha bisogno di una revisione, “un tagliando”, in un mondo odierno molto diverso da quello del 1990».

 

Significativa la presenza del  presidente della Commissione difesa della Camera, Francesco Saverio Garofani, che, dicendosi dispiaciuto di non poter ascoltare le relazioni, si è detto disponibile a discutere assieme i temi annunciati (violazione della legge 185/90, concentrazione nella produzione di armi con dismissione del civile da parte di Finmeccanica, presenza delle bombe nucleari nelle basi Usa in Italia) non senza accennare alla sua storia personale di cattolico democratico.

 

Una testimonianza diretta della tensione dei cristiani impegnati in politica tra l’aspirazione alla pace e la necessità di usare le armi che rimanda all’esempio di alcuni dei costituenti cattolici che combatterono proprio in vista di quella Carta che, nell’articolo 11, ripudia la guerra.

 

Temi quanto mai attuali davanti alla chiarezza evangelica di papa Francesco che, quasi inascoltato, non smette di denunciare e “maledire” la produzione e commercio di armi, come ha ricordato Massimo Toschi, consigliere su pace e disabilità del presidente di quella Regione Toscana da cui è arrivata una folta rappresentanza del Centro intitolato a Giorgio La Pira, il costituente, come ha fatto notare l’intervento del direttore del Centro, Maurizio Certini, radicalmente schierato, assieme con Igino Giordani (deputato e cofondatore del Movimento dei Focolari) a favore delle concrete politiche di pace. 

 

Una rimozione della memoria

 

I rimandi a La Pira e Giordani fanno riferimento a lezioni di vita che, come ha fatto notare il deputato Giorgio Zanin (Pd), sembrano completatemene assenti dall’orizzonte di molti dei più giovani componenti dell’attuale Parlamento italiano, sottolineando la necessità di una nuova consapevolezza nel tempo attuale: Zanin abita non lontano dalla base Usa di Aviano, una di quelle interessate al nuovo riarmo di ordigni nucleari B61-12 pronti per i caccia bombardieri statunitensi.

 

Eppure i dati del riarmo a scapito delle spese sociali sono noti da tempo, come ha spiegato l’economista Leopoldo Nascia della rete Sbilanciamoci, e, dietro le ragioni di sicurezza, si nasconde sempre la questione del controllo delle fonti energetiche, secondo l’analisi di Vittorio Cogliati Dezza di Legambiente. D’altra parte la possibilità di avviare rapporti internazionali di collaborazione nel rispetto dei diritti umani (corridoio umanitari per i migranti) è stato messo in evidenza dall’intervento di Mauro Garofalo della Comunità di Sant’Egidio.

 

Ma non è possibile cercare una soluzione parlando solo con chi è perfettamente d’accordo su tutto. Per questo nell’incontro del 5 luglio è stato importante l’inizio di un dialogo con Jean Pierre Darnis, responsabile del settore Difesa e Sicurezza dell’Istituto Affari internazionali, il centro di ricerca fondato da Altiero Spinelli e considerato, come ha detto Romano Prodi alle celebrazioni del 50° dell’Istituto, un attore imprescindibile della politica estera e della difesa dei governi italiani. Darnis ha presentato le prospettive di una difesa unitaria a livello continentale esaminando le direttive europee e sottolineando   l'importanza dell’uso duale (militare e civile) della tecnologia come fattore di dissuasione nei conflitti.

 

Soldi, sangue e libertà di stampa

 

Le questioni rimandano a una complessità della materia riconosciuta da Andrea Goller, referente con Rosalba Poli del Movimento dei Focolari in Italia, come presupposto di un impegno nell’approfondimento senza doversi arrendere, tuttavia, «all’apparente e ingannevole idea che non esistano responsabilità». Come chiave di lettura, Goller ha citato il discorso di Francesco del settembre 2015 al congresso Usa, quando ha individuato nel “denaro intriso di sangue” il motivo che spinge a vendere armi mortali a «coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società». La rimozione abituale di questa verità non può tuttavia indurre alla complicità, anzi, come afferma il papa, «davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi».

 

Bisogna avere, ha detto Rosalba Poli, la mite determinazione «a fare ancora la domanda» sul perché l’Italia non applica la legge 185/90 sul traffico di armi e fermarsi ad ascoltare le ragioni, senza pregiudizi, in una piena apertura reciproca per trovare assieme una soluzione degna e coerente. Eppure, come ha ricostruito storicamente Toni Mira, giornalista d’inchiesta di Avvenire, le risposte non date e i silenzi sono una costante nel nostro Paese davanti a troppi scandali come quello delle armi vendute ai Paesi in guerra che nessun richiamo al realismo può giustificare. Un fatto che dovrebbe stare in prima pagina fino alla sua soluzione e invece oggettivamente non è considerato un’informazione interessante: «Non ha criteri di notiziabilità».

 

Forse, oltre le domande da non sopire, secondo l’intervento finale dei Giovani per un mondo unito, occorre dire che «il re è nudo» come narra il celebre racconto del bambino che nella sua schiettezza sveglia il popolo dal torpore perché osserva semplicemente ciò che tutti vedono ma per abitudine, convenienza, paura o servilismo fingono di ignorare. Il re è nudo: «Dall’Italia partono armi per i Paesi in guerra». Fino a quando resteremo nel sonno?

 

Per chi vuole saperne di più sul gruppo di riflessione e azione “Economia disarmata” promosso dal Movimento dei Focolari in Italia può mandare una mail  bankmob@focolare.org

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