Dolori e speranze di chi non lascia il paese che non c’è più

Un mese dopo il sisma del 24 agosto, comincia lo smantellamento delle tende. Le persone saranno trasferite in alberghi e nelle seconde case messe a disposizione dai privati, ma in tanti non vogliono andar via dalla propria terra  
terremoto ansa

Una scossa di magnitudo 4.1 all’inizio della settimana, una manciata di scosse sopra i 3 negli ultimi giorni e decine e decine di scosse minori ben distribuite tra Rieti, Perugia e Ascoli Piceno. È difficile vivere su una terra che balla, che si muove di continuo, che potrebbe aprirsi e scuotere persone e case come un mese fa, quel tragico 24 agosto scorso nel quale sono morte quasi 300 persone.

Eppure, la gente non vuole scappare, non vuole allontanarsi dai comuni del Centro Italia colpiti dal terremoto: Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, Accumoli e le loro frazioni. Vogliono continuare a dar da mangiare ai propri animali se sono allevatori, o continuare a coltivare la terra, se sono contadini. Ma vogliono anche vegliare sulle proprie cose, su quel che resta delle loro case dopo che sono divenute macerie. E soprattutto vogliono restare sulla propria terra.

Ufficialmente, stando ai proclami istituzionali, venerdì 23 settembre è cominciato lo smantellamento di alcune tende. Qualcuno ha accettato di trasferirsi in albergo, qualcun altro ringrazia i proprietari delle seconde case ancora integre, aperte con cuore generoso a chi ha perso tutto nel sisma.

Le macerie, però, sono ancora lì, insieme ai vigili del fuoco operativi 24 ore su 24, alle forze dell’ordine, ai volontari che si susseguono per preparare i pasti e assistere i cittadini. Gli assistiti sono circa 3mila, dei quali 2.500 ancora in tenda. I volontari arrivano, lavorano per una settimana, poi ripartono. Cambiati. Perché, ci spiegano i volontari dell’Anpas, l’Associazione nazionale pubbliche assistenze, oltre alla formazione necessaria per prestare servizio e conforto in situazioni così difficili, loro forniscono ai soccorritori anche un aiuto successivo, perché non si esce indenni dopo sette giorni intensi, vissuti a contatto con persone disperate.

Quando arriviamo, col collega Aurelio Molè, ad Amatrice, troviamo poca gente per strada. Molti, ci spiegano, presidiano le proprie case, laddove è possibile, per evitare furti e tener lontani gli sciacalli. Vicino alla cucina improvvisata nel parco cittadino incontriamo Gianni, 55 anni, cuoco senza un lavoro fisso, arrivato con un passaggio per dare il suo aiuto agli sfollati. Mentre impasta frittelle di mele ci spiega che, se riuscirà, cercherà di tornare. «Stare qui – racconta – è un’esperienza unica, che mi ha reso contento. Ho conosciuto persone di cuore, c’è stata una solidarietà incredibile. Non è detto che, dopo questi giorni, finisca qui. Sono pronto a dare aiuto a queste persone anche per altri compiti, l’importante è aiutare». La solidarietà non ha limiti e così c’è chi arriva con hamburger e patatine, chi con le maschere da clown per far giocare i bambini, chi con forbici, phon e spazzole per pettinare le signore e tagliare le barbe ai signori.

Complessivamente, le scosse hanno provocato danni per 3, 4 miliardi, secondo i numeri snocciolati dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che assicura che la ricostruzione sarà effettuata con serietà e i paesi distrutti saranno ricostruiti.

Ma nel Centro Italia la gente non resta con le mani in mano ad aspettare. Si sono formati gruppi spontanei di aiuto, soprattutto di giovani. «Quando vediamo che c’è una necessità – spiega Barbara, una bella ragazza bionda – subito ci mobilitiamo». Così, nelle scorse settimane, sono state trovate lavatrici, asciugatrici, saponi e detersivi…

C’è anche un gruppo creato su Facebook dal titolo “Chiedi alla polvere/Ask the Dust”. “Chi dimentica – affermano – è complice”. «Siamo un gruppo di ragazzi colpiti dal terremoto del 24 agosto nella zona del Centro Italia, abbiamo la fortuna di poter raccontare la nostra esperienza e l’unico nostro obbiettivo è non cadere nel dimenticatoio e poter descrivere a tutti com’era, com’è e come secondo noi sarà il nostro territorio che se pur ferito ha una forza d’animo da poter trasformare il voler fare nel poter fare». Quello che ci lega nel profondo a questo luogo – scrivono sul social network – è il senso di appartenenza. Tutti sentiamo di appartenere a queste montagne che ci cullano da quando siamo nati.

Qualsiasi vincolo affettivo tra persone può svanire, sfumare nel giro di pochi anni, mentre ho la ferma convinzione che il legame con questo posto rimanga, nonostante le strade che ognuno è costretto a prendere nella propria vita possano portarlo lontano. Questo terremoto ha fatto sbiadire sogni, speranze e progetti che fin da piccoli legavamo ad Arquata, perché purtroppo ha reso quelle case macerie, quelle strade cumuli di massi e anche tutti noi più disillusi e razionali, ci ha privato dell’ottimismo della nostra immaginazione. La consapevolezza più grande però è quella che ognuno di noi lotterà perché il nostro paese non venga abbandonato, farà di tutto per veder tornare le cose alla normalità, perché andremmo contro noi stessi non perseguendo questo proposito. Ricominceremo a sognare il nostro futuro qui, nel piccolo angolo di paradiso che ci ha regalato emozioni incomparabili, dobbiamo ricominciare per quel senso di appartenenza che vive in noi».

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