Disubbidienza (anche per il Mit è una virtù)

Lo diceva in tempi lontani don Milani: l’obbedienza non è più una virtù. Lo diceva contestando una legge iniqua che imponeva a tutti l’obbligo della leva militare.  

Lo diceva in tempi lontani don Milani: l’obbedienza non è più una virtù. Lo diceva contestando una legge iniqua che imponeva a tutti l’obbligo della leva militare. Lo praticava quando le autorità scolastiche umiliavano i ragazzi più svantaggiati delle scuole, inventando a Barbiana una scuola più adatta a loro. Lo ripete oggi il giapponese Joichi Ito, direttore del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, uno dei luoghi più creativi e innovativi del pianeta. Il primo direttore non laureato al Mit afferma che la disubbidienza giova allo sviluppo delle società più della conformità. Certo, dobbiamo capire bene di quale disubbidienza stiamo parlando. Non certo della stupida trasgressione delle regole che le società si danno. Quella la incontriamo fin troppo spesso, una violazione sistematica e ottusa, incurante del bene comune e del danno che i comportamenti individuali hanno sulla collettività. Il rispetto delle regole e delle leggi è certamente uno dei primi pilastri di una società civile. Stiamo parlando di quella disubbidienza che può diventare risorsa creativa e positiva dentro istituzioni, gruppi sociali, aziende, università e piccole comunità. Dice Joichi Ito: «Non puoi vincere un premio Nobel facendo quello che ti dicono di fare». È evidente a tutti che i grandi innovatori sono quelli che in forme diverse hanno saputo deviare dalla norma, dal già detto, dal mai fatto prima. I grandi leader carismatici sono in fondo dei devianti positivi. Persone inottemperanti delle attese del proprio tempo, che con il loro comportamento poco ortodosso migliorano la propria vita e la vita della collettività, mostrando a tutti nuove strade. Aziende e istituzioni accademiche d’avanguardia sono oggi alla ricerca di persone con potenziale di disubbidienza, disposte a seguire il proprio istinto, a porsi domande, a non prendere per buoni tutti i modelli ereditati, a rifiutare di seguire le regole quando sono d’intralcio a nuovi progetti. Queste persone sono preferibili rispetto a quelle abituate a conformarsi e adattarsi ai contesti dati. Mi si potrà obiettare che questi modelli vanno molto bene se ci riferiamo al mondo del lavoro e al lavoro di frontiera. Ma è applicabile a comunità ispirate a fiducia, lealtà e rituali condivisi? Direi proprio di sì. Sono passati pochi anni da quando Benedetto XVI ha fatto quello che pareva impensabile e inaudito, dimettersi. Un gesto straordinario di disubbidienza creativa alle regole, che ha cambiato il mondo, aprendo le porte alla chiesa di Francesco. Guardiamo bene nelle nostre comunità e troveremo tanti altri come lui che − senza clamore − hanno disubbidito e generato nuova vita. Sono risorse preziose.

 

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