Diritto e buon senso

Non c’è bisogno di grandi ragionamenti giuridici per apprestare una tutela giusta ed efficace dei diritti dei minori. Questa in sintesi potrebbe essere la considerazione da svolgere di fronte a molte sentenze formulate dalla giurisprudenza (tribunali, corti d’appello e la stessa Corte suprema di cassazione), che enunciano princìpi di diritto perfettamente coerenti con il “buon senso”: quello di cui, per fortuna, è spesso fornito l’uomo della strada, ancorché privo di una raffinata preparazione giuridica. Così in una recente sentenza della Cassazione (n. 5714 del 19 aprile 2002), è affermato il principio che, nell’individuare quale tra i genitori separati o divorziati sia più idoneo ad avere in affidamento i figli, deve essere preferito quello “che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore”. Nessun dubbio, si direbbe: laddove il rapporto di coppia è andato in crisi o conosce momenti di difficoltà anche su di un piano giuridico-legale, è intuitivo che debba essere preso in considerazione massima l’interesse dei figli minori, che, in quanto esposti – più di tutti – alle sgradevoli conseguenze sul piano della formazione e della crescita dipendenti dalla crisi coniugale, hanno un diritto prevalente rispetto a quello di qualsiasi altro soggetto a vedere attuate a loro profitto tutte le misure protettive e preventive più idonee per arginare gli effetti deleteri della disgregazione della famiglia. Talvolta in questa ottica di “preservazione” del minore da maggiori traumi, si è anche disciplinato – limitandolo fortemente – il cosiddetto “diritto di visita” del coniuge cui il figlio non sia affidato: e si è chiarito che quello non può essere un diritto “indiscriminato”. In prima battuta infatti deve essere riguardata – si è detto – con particolare attenzione la salute psico-fisica del minore, al rispetto della quale il diritto stesso di “visita” da parte del genitore deve cedere il passo. E chi direbbe poi – senza contraddire ai princìpi del minimo buon senso e anche se non c’è alcuna disposizione di legge in tal senso – che ai nonni non continui spettare – sia pure dopo la separazione o il divorzio dei coniugi – il diritto di far visita al nipote minore per coltivare quel rapporto di comunione ed affetto familiari, pericolosamente minacciato proprio dalla crisi del rapporto di coppia? Ed infatti questo è stato quanto esattamente sancito da un’altra sentenza della Cassazione (25 settembre 1998, n. 9606) che ha ribadito tale insopprimibile diritto dei nonni da un lato e del minore dall’altro, il cui interesse innanzi tutto deve essere oggetto di specifica precipua tutela da parte dell’ordinamento. Anzi, laddove possa ricorrere anche l’opposizione di uno dei genitori a che questo rapporto si svolga, i giudici “ermellini” (in altra recente sentenza depositata il 26 settembre u.s.) hanno ritenuto equo “bypassare” quella opposizione e consentire al contrario alla nonna paterna di fare visita alle nipotine minorenni affidate all’altro coniuge. E così è innegabile che sia ancora il buon senso dell’uomo della strada a far ritenere più che fondato un diritto del minore a vedersi riconosciuto un adeguato trattamento economico e quindi a stabilire un obbligo del genitore (cui il minore non venga per ipotesi affidato) corrispondere un assegno di mantenimento, e ciò anche se non ci sia alcuna specifica richiesta in tal senso da parte dell’altro genitore affidatario. Principio, questo, che ha trovato puntuale riscontro in altra sentenza della Suprema corte (Cass. 9 giugno 1990, n. 5636) ove si è provveduto a stabilire l’obbligo a carico di un coniuge alla corresponsione di detto assegno, sia pure in assenza di richiesta da parte dell’altro, e solo in considerazione dell’obiettivo riconoscimento della rilevanza dell’interesse del minore. Insomma, per fortuna, spesso, il diritto “vivente” (come qualcuno lo definisce) va a braccetto con quell’innato senso di equilibrio e di giustizia che alberga in ciascuno di noi e che in una materia ad “alta temperatura” come quella della tutela dei diritti dei minori e soprattutto in assenza di espresse normative codificate, è un punto di riferimento certamente non occasionale laddove debbano essere assunte determinazioni incidenti proprio su quei diritti. Del resto anche i latini dicevano Maxima debetur puero reverentia (al fanciullo va riconosciuto il massimo rispetto)… una massima, che seppure datata, non risulta giammai scalfita dal tempo… essendo iscritta nel cuore dell’uomo.

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