Di questa vita menzognera

Giuseppe Montesano è, tra gli autori napoletani dell’ultima generazione, il più acclamato e richiesto dalle testate giornalistiche e nei dibattiti culturali, soprattutto per la sua capacità di scalfire il presente con originale vena polemica. Dopo l’opera prima A capofitto, si aggiudica con il secondo romanzo Nel corpo di Napoli una serie di premi importanti, dal “Napoli” al “Vittorini”. Il suo terzo romanzo Di questa vita menzognera (Feltrinelli Editore), finalista quest’anno al Campiello, vince il prestigioso Premio Viareggio 2003. Il libro colpisce il lettore per la denuncia forte ed aggressiva e per il linguaggio colorito e vivace. Vediamo la città partenopea asservita ad una famiglia senza scrupoli che, d’intesa col potere centrale, sguazza nella vorace sete di megalomania, asservendo arte, bellezza e lavoro allo scellerato disegno di “un’economia di rapina” che distrugge in profondità valori e ideali di democrazia. Come l’autore ha precisato in occasione della vittoria al Viareggio, egli non ha inteso demonizzare il Sud come “sentina dei mali”, ma solo offrire il racconto di un aspetto di quella che, a suo parere, è “la crisi del tempo”(1). Avvocati, uomini di cultura, ecclesiastici sono ai piedi dei nuovi padroni, redivivi monarchici, per i quali con la ricchezza tutto è possibile, anche cambiare i connotati di una città, per farne un grande teatro vivente: la vita deve diventare finzione e la finzione vita, a beneficio assoluto di coloro che hanno decretato e realizzato il cambiamento. “Noi siamo i Negromante – è questo il nome della famiglia protagonista del romanzo – e possiamo fare quello che ci piace”. “Un uomo può rispettare la legge e non valere niente, e può infrangere la legge ma essere degno di ammirazione “. “Il Dio di questo secolo è la ricchezza. E allora bisogna diventare ricchi a qualsiasi costo”. Tre espressioni che esplicitano la logica spietata, ma purtroppo vincente, dei Negromante, capaci nelle loro diavolerie di catturare le masse sprovvedute e infrangere le illusioni di quei pochi giusti che ancora sperano nell’avvento di una civiltà di giustizia e amore. Tra questi ultimi c’è Andrea, rampollo dei Negromante, che invano cerca disperatamente di prendere le distanze dai loschi affari della famiglia. Nella grande carnevalata che segna l’inizio del nuovo corso della città, allo sparuto gruppo di “incorreggibili” travestiti da Pulcinella non resta che cercare la salvezza in una fuga disperata verso il mare, verso nuovi lidi. In un impasto sulfureo e picaresco di italiano e dialetto, condito dal turpiloquio più sfrontato e volgare, Montesano, con fantastico realismo, aggredisce spietatamente il tentativo, in atto nella nostra società, di trasformare la nostra civiltà sulla base del liberismo più sfrenato e corrotto. Quello che forse nuoce al romanzo è il riferimento troppo scoperto e ravvicinato a personaggi noti, ma anche un accostamento generalizzato della religiosità al potere economico: “Il prete benedì la tavola con un piccolo aspersorio d’oro a forma di ramo di ulivo, e in mezzo ai battimani disse che in quel giorno in cui risorgeva la carne di Dio, era dovere di ogni vero cattolico fare onore alla carne terrena che i Negromante imbandivano per gli amici fedeli”. Proprio in questo tentativo di mordere con ferocia estrema le contraddizioni del presente, la vicenda narrata si appesantisce e perde di credibilità: incombe su di essa la furia dissacrante e troppo divertita dell’autore. I PREMI LETTERARI:A CHI SERVONO? La scrittrice Anna Maria Ortese, riferendosi ai premi letterari, così ci scriveva anni fa in riferimento alla partecipazione di un suo libro ad un Premio: ” questo paese, se non si fanno ogni giorno cento dichiarazioni – su ciò che – o si crede di poter essere – se non si vive in piazza – gli equivoci sono infiniti. Il mio Porto di Toledo fu mandato da Rizzoli al “Premio Napoli”, e una giuria di 300 operai dichiarò di non capirlo. Io non ho mai capito perché la Rizzoli lo gettò via così. (Io non potrei giudicare il lavoro di un operaio. Come mai non uno – ma trecento operai – possono giudicare un mio libro?)”. Oggi a distanza di molti anni e dopo la morte della Ortese, quel Porto di Toledo che non raccolse alcun riconoscimento viene considerato il capolavoro della scrittrice. Nasce subito la domanda: quale è il valore dei premi letterari? I premi hanno avuto, soprattutto nel passato, quando la scrittura non era considerata merce e la pubblicità non influenzava il lettore, e lo scrittore non era chiamato a diventare uomo di spettacolo, la funzione di indicare libri buoni e autori validi. Ma non sempre. I nostri premi letterari, nella maggior parte dei casi, rappresentano, più che un giudizio di valore letterario, una festa intorno al libro, dove le case editrici gli autori fanno a gara per essere presenti e promuoverne la vendita. Restano validi, a parer nostro, i tentativi di coinvolgimento dei lettori, non tanto però ai fini dell’assegnazione del premio. Più alto diventa il numero dei lettori, più queste feste intorno al libro hanno valore di esistere. Abbiamo visto con piacere il rinnovamento del Premio Napoli che ha consegnato quest’anno a 1242 persone, distribuite in comitati sparsi per il mondo, i libri selezionati dalla giuria tecnica (critici e scrittori). E, ancor più, abbiamo conosciuto di recente esperienze positive di “Feste per il libro” che non hanno premiato,ma solo proposto la lettura di alcuni libri, attraverso la conoscenza degli autori. Certamente il valore del libro resta innegabile, e ciò giustifica anche certo movimento di iniziative, ma non tutto ciò che si pubblica è degno di essere letto e non sempre un premio è per il lettore garanzia di incontrarsi con un buon libro.

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