Decreto sicurezza, il volontariato farà la differenza

Tra i tanti pareri che si sono levati sulle possibili conseguenze dell'appliazione delle nuove norme sulla sicurezza, tra cui i sindaci di Ventimiglia e di Imperia, abbiamo intervistato don Giacomo Martino, capo dell'ufficio Migrantes della Diocesi di Genova

La protesta dei sindaci antidecreto Salvini tocca anche il confine Nord Ovest dell’Italia e in prima persona a schierarsi è Enrico Ioculano, il sindaco di Ventimiglia, al centro di tante prese di posizione a volte pro, a volte contro gli immigrati. Ora, Ioculano fa sapere che «il decreto sicurezza è un decreto di facciata che non avrà effetti positivi, e le conseguenze ricadranno completamente sui sindaci, perché si basa essenzialmente su un sistema di espulsioni che, per ammissione dello stesso Salvini, sarà impossibile mettere in atto». Da Imperia gli fa eco il suo collega Scajola:  «Ritengo che le leggi vadano rispettate, quindi non posso essere d’accordo con i colleghi che non lo fanno. Detto questo, non condivido il decreto sicurezza, sul quale sono peraltro mancati confronto e discussione». Soprattutto Scajola fa notare che «c’è un aspetto, quello con cui si danno diritti diversi alle persone, che ritengo incostituzionale e anche inquietante. Mi ricorda un germe pericolosissimo, nella disparità di trattamento, di cui abbiamo già visto una triste esperienza nella nostra storia». Se dal confine si levano voci “contro”, nel capoluogo di Regione sia il governatore Toti, che il sindaco Bucci dicono che il decreto mette ordine ed entrambi si schierano con il governo nazionale.

don Giacomo Martino

Di tutt’altro parere è don Giacomo Martino, capo dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Genova, che al telefono ci precisa subito: «Non ho mai chiesto pezzi di carta in vita mia a nessuno che avesse bisogno di aiuto. La mia coscienza mi impedisce di trattare le persone in modo diverso nel caso in cui abbiano o non abbiano i documenti. Questa è la mia obiezione». Anche il card. Bagnasco, arcivescovo di Genova, fa sentire il suo parere: «I sindaci dovranno prendere le loro decisioni, l’obiezione di coscienza è un principio che viene riconosciuto, riguarda obiezioni e valutazioni personali in merito a delle situazioni concrete. Riguardo al decreto a me interessa che le persone che hanno un bisogno vero, serio e onesto, possano trovare un aiuto». E ha citato il Campus di Genova Coronata: «Grazie a don Giacomo Martino, direttore di Migrantes, e ai suoi collaboratori, ritengo che sia un buon esempio, un esempio virtuoso di integrazione, perché l’integrazione non è una parola generica, c’è un percorso preciso fatto di borse lavoro, di insegnamento di mestieri, di tirocini. È un esempio a cui ispirarci».

Don Giacomo sulle alture di Genova in un vecchio ospedale ha messo su un Campus dove da tre anni accoglie extracomunitari, insegna loro la nostra lingua, un’occupazione e cerca poi di inserirli nel mondo del lavoro. Un’esperienza di accoglienza e di inclusione straordinaria.  Ora spiega che continuerà avanti per la sua strada, «perché non è un delinquente una persona che non ha i documenti. In ogni caso, in questo contesto, il grido del governo “Abbiamo eliminato la povertà” riecheggia in modo ironico anche sulla nostra città. Quante cooperative e onlus potranno sostenere le spese per l’integrazione con le cifre che sembrano profilarsi? Basta fare un rapido calcolo per cogliere tutti i paradossi».

E poi una proposta-provocazione: «È arrivato il momento in cui il volontariato dovrà diventare un vero movimento di popolo e di persone: bisognerà davvero rimboccarci le maniche. Quando ci sono persone che non vengono più messe in condizione di essere curate e assistite, non possiamo restare indifferenti. Le persone per strada non le lascio, apriremo le chiese e daremo loro un letto e un riparo. La chiesa servirà per le celebrazioni dell’eucarestia, ovvio, poi per dormire la notte». Le parrocchie dovranno farsi carico, secondo don Giacomo, di queste persone, è un dovere del cristiano e comunque degli uomini a cui sta a cuore l’umanità. Non si può afferma in maniera forte «venire a messa, ricevere pure l’eucarestia e poi avere risentimenti contro chi è diverso da me perché arriva da un altro Paese. Dov’è finito il cristianesimo? Io sono per l’accoglienza, allora? Se dovessi essere considerato un favoreggiatore dell’immigrazione clandestina per questo, me lo augurerei». E poi un appello ai cittadini, chiedendo loro aiuto: è il momento in cui il volontariato potrà fare la differenza. Un movimento di popolo e di persone. È il sogno del don che chiude la telefonata. Basta, di parole se ne sono sprecate tante, quanti si dicono a favore del prossimo. Ora è il momento di agire concretamente mettendosi al servizio di queste nuove emergenze, è tempo di agire e non più di fare considerazioni.

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