Chi decide sulla vita di tutti?

Le questioni poste a Taranto. durante la Settimana sociale, ribadiscono l’urgenza della conversione ecologica nella politica industriale nazionale.
Taranto,foto Dario De Dominicis

«Siamo una città sotto assedio. Entro 10 km dall’impianto siderurgico è vietata ogni tipo di coltivazione. Nel quartiere Tamburi i bambini non possono andare a giocare nei giardinetti perché il terreno è contaminato. Quando spira il vento dalla zona industriale, le persone non possono aprire le finestre e le scuole vengono chiuse».

Cosa deve dire di più per farsi comprendere la dottoressa Annamaria Moschetti dell’Ordine dei medici di Taranto? Davanti ai delegati delle Settimane sociali dei cattolici italiani del 21-24 ottobre 2021, la Moschetti ha snocciolato i dati sull’eccesso dei casi di leucemia tra i bambini, esposti, tra l’altro, a sostanze neurotossiche in grado di menomarne il quoziente intellettivo da grandi. Danni che colpiscono fasce di popolazione che già vivono condizioni di forte disagio sociale ed economico.

La rappresentante dei medici tarantini sapeva di parlare davanti a un uditorio sensibile alla “difesa della vita dal concepimento alla morte naturale”. Le sostanze tossiche si annidano nel latte materno.

L’industria siderurgica è classificata “impresa insalubre di prima classe”, precisa la Moschetti, e pertanto non doveva essere costruita a ridosso della città.

Lo sapevano le classi dirigenti dell’epoca che negli anni ’60 pensarono allo sviluppo economico nel Meridione attraverso le grandi opere in grado di collocarci tra i maggiori Paesi manifatturieri mondiali. Il costo umano era previsto ma considerato accettabile per raggiungere tale obiettivo strategico, anche nel 1972, quando il siderurgico raddoppiò di dimensioni con «un processo barbarico d’industrializzazione», come lo descrisse l’urbanista Antonio Cederna, da parte di una grande «impresa industriale a partecipazione statale con un investimento di quasi 2000 miliardi» di lire senza aver «pensato alle elementari opere di difesa contro l’inquinamento».

La privatizzazione del polo siderurgico avvenuta nel 1995 non ha comportato un miglioramento. Anzi, la gestione della famiglia Riva è stata interrotta nel 2012 da un’inchiesta per disastro ambientale facendo emergere, tra l’altro, una rete di connivenze e corruzione in un territorio esposto al conflitto insano tra la tutela della salute e la necessità di mantenere l’occupazione di migliaia di lavoratori. Oggi, dopo la gestione commissariale d’emergenza da parte dello Stato e quella controversa del colosso del settore acciaio Arcelor Mittal, l’enorme stabilimento siderurgico è affidato alla società Acciaierie d’Italia, dove la presenza della società pubblica Invitalia è destinata a crescere accanto alla multinazionale franco-indiana che in molti danno in partenza.

Da luglio 2021 il presidente della società è Franco Bernabè, manager di profilo internazionale, autore di una recente storia sugli ultimi 40 anni del capitalismo italiano. In stretti rapporti con Mario Draghi, Bernabè, già artefice della privatizzazione dell’Eni, ha annunciato l’11 novembre sul canale La 7 che sta lavorando con il CdA per una transizione ecologica che prevede la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto in 10 anni.

Tempi che possono essere realistici, ma che si rivelano troppo lunghi per la sofferenza di una popolazione esposta a picchi di inquinamento intollerabile. «Quanti bambini dobbiamo portare al sepolcro prima che si attuino i piani graduali di decarbonizzazione?», ha detto la dottoressa Moschetti durante la Settimana sociale, ribadendo che l’Ordine dei medici ha chiesto l’immediata sospensione di immissione di sostanze neurotossiche e l’applicazione per lo stabilimento siderurgico e per le altre attività industriali di Taranto di tutte le normative autorizzative esistenti per impedire che «siano ammessi livelli/tipologie di produzione che comportino un qualsivoglia danno alla salute e alla vita della popolazione».

Una richiesta che si infrange contro i decreti dei diversi governi che hanno permesso il superamento di tali vincoli in ragione dell’importanza strategica della produzione di acciaio, associata ritualmente all’impegno nel mitigare gli effetti nocivi per la popolazione.

La centralità dell’acciaio in Italia e in Europa davanti allo strapotere cinese (vedi grafico) è stata ribadita da Federacciai di Confindustria, assieme al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, nell’assemblea nazionale del 6 ottobre.

Pure i sindacati chiedono l’adozione di un Piano siderurgico nazionale per definire qualità, quantità e distribuzione della produzione di acciaio. Ma anche l’associazione Giustizia per Taranto, che raduna diverse realtà sociali, non solo chiede di discutere tale Piano, ma ne ha elaborato uno specifico per la città evidenziando le potenzialità di altri settori produttivi finora penalizzati, quello portuale e ittico, ad esempio. È possibile, dicono citando Confindustria, creare migliaia di posti di lavoro dalle opere di bonifica.

Di fronte a tale complessità non si può restare sul vago senza affrontare le scelte di politica industriale che incidono sulla vita reale delle persone. Un segnale da cogliere da Taranto.

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