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Dare voce al dissenso russo contro la guerra, e non solo

di Carlo Cefaloni

Carlo Cefaloni

Le stragi di Sumy in Ucraina e quella dell’ospedale battista a Gaza rendono evidente il sostegno a coloro che obiettano alla violenza. Il lavoro di Raffaella Chiodo Karpinsky nel dare voce a chi in Russia resiste alla guerra. La questione dell’asilo politico agli obiettori di coscienza richiesto dal Movimento Nonviolento

La settimana della Pasqua 2025 è iniziata con i missili russi lanciati sulla città ucraina di Sumy e il bombardamento dell’esercito israeliano contro l’ospedale battista di Gaza city.

Emergency Service. EPA/NATIONAL POLICE OF UKRAINE

Omettere una notizia per esaltarne un’altra, come purtroppo avviene in alcuni media, appare una meschinità di fronte allo strazio delle vittime civili che fanno vacillare le nostre certezze. Appare vano confidare in un cessate il fuoco nella speranza che non venga più versato sangue che chiama altro sangue.

La ferocia che colpisce i bambini, inoltre, destituisce di credibilità ogni definizione di pace giusta di fronte ad un dolore indicibile che non potrà mai essere giustificato.

Vittime palestinesi nei raid aerei israeliani notturni nella Striscia di Gaza EPA/HAITHAM IMAD

Si sa, si pensi all’ultimo conflitto mondiale, che le strategie belliche prevedono l’uso delle armi di distruzione sulla popolazione civile, salvo ricorrere, in casi estremi, alla giustificazione della fatalità dell’errore umano che resta ovviamente impunito.

Ogni minuto perso nel fermare il massacro in corso non fa che aggravare e allargare lo scontro verso scenari imprevedibili,  fomentando un radicale avversione reciproca tra popoli e nazioni.

Per questo motivo è importante coltivare in ogni modo i frammenti dei rapporti tra le persone appartenenti ad entità in guerra tra loro, così come avviene in Medio Oriente, ad esempio, con la straordinaria rete dei familiari delle vittime palestinesi ed israeliane che rinunciano alla vendetta e accolgono il dolore altrui come il proprio (Parent circle). Così anche gli ex militari di tutti gli schieramenti che decidono di diventare attivisti per la pace.

Ovviamente questa scelta radicale è assai costosa in termini personali, come dimostra da una parte l’obiezione di coscienza espressa da centinaia di riservisti israeliani che in questi giorni hanno chiesto la fine della guerra a Gaza, e dall’altra i palestinesi che a Gaza, pur in condizioni estreme, hanno manifestato contro Hamas.

A causa della carenza di copertura mediatica, la gran parte dell’opinione pubblica rischia di ignorare tali manifestazioni di una politica della nonviolenza attiva, che è l’opposto della rassegnazione e del cedimento al male. Anzi proprio la riconoscibilità di questa parte della società civile, presente all’interno delle parti in guerra, permette di aumentare la loro voce facendo vacillare l’apparente unanimità di consenso nei confronti di chi ordina stragi e crimini contro l’umanità.

EPA/MAXIM SHIPENKOV

In questo senso, uno dei pericoli evidenti oggi in Europa è l’indifferenza e mancanza di ascolto verso le voci dissidenti nella sterminata nazione russa che siamo propensi a considerare uniformemente schierata a fianco di Putin, come i soldati nelle parate sulla piazza del Cremlino.

«Il popolo russo non è mio nemico», è una scritta che appare spesso nelle manifestazioni per la pace, così come lo striscione del gruppo de La Comune afferma una elementare verità: «Siamo russi e ucraini, Siamo israeliani e palestinesi, l’umanità non ha confini».

A proposito del dissenso in Russia abbiamo intervistato su cittanuova.it Marta Dall’Asta, direttrice del portale web La Nuova Europa promosso dalla Fondazione Russia Cristiana.

Raffaella Chiodo Karpinsky è un’altra voce molto autorevole che cerca di promuovere la conoscenza di tante persone che coraggiosamente si oppongono a Putin, in maniera nonviolenta e in base ai valori democratici nel ripudio dell’imperialismo bellico. Merita perciò approfondire il lavoro che ha compiuto pubblicando nel 2023 il libro “Voci dall’altra Russia. Quelli che resistono alla guerra”.

Un primo passo da compiere, infatti, è quello di far conoscere il volto e il pensiero di tanti uomini e donne che «attendono da molto tempo segnali dall’Europa pacifica, dei diritti umani e civili».

Tra questi dissidenti la scrittrice Chiodo Karpinsky ha citato, in un suo intervento su Avvenire, Grigorij Alekseevič Javlinskij, l’economista autore del piano di transizione dal sistema sovietico che poi, purtroppo. non è stato attuato per favorire, al suo posto, una privatizzazione selvaggia che ha favorito forti diseguaglianze oltre alla crescita degli autocrati.

La conoscenza approfondita dei dissidenti russi non può che aprire un confronto critico sulla storia recente del nostro Continente nella ricerca mancata di una sicurezza comune.

Archivio 1989 crollo muro di Berlino ANSA/I54

«È stata persa la finestra del 1989» come ha fatto notare, ad esempio, l’economista Giulio Marcon per ribadire che «dopo la fine del Patto di Varsavia, l’Europa non ha adottato una politica di integrazione e cooperazione vanificando la possibilità di costruire un mondo multipolare». In tal modo si è dato sfogo a una pluralità di nazionalismi che ci hanno condotto allo scenario attuale della guerra in Ucraina e a Gaza. Crisi devastanti in cui l’Europa appare tagliata fuori da ogni tavolo delle trattative.

Per uscire fuori dal vicolo cieco occorre una nuova visione della sicurezza comune con la Russia in Europa. Ma il perpetuarsi delle morti senza senso rischia di far naufragare tutto, a vantaggio degli interessi di coloro che basano il loro potere sulla logica delle armi.

Per tale motivo il Movimento nonviolento ha chiesto, fin dall’inizio del conflitto in Ucraina di riconoscere l’asilo politico nell’Unione europea agli obiettori di coscienza e disertori russi, ucraini e bielorussi.

La scelta di opporsi a versare il sangue proprio e altrui, disobbedendo agli ordini dei rispettivi governi non è, infatti, condizione sufficiente per ottenere protezione internazionale.

Un nodo centrale per capire la reale volontà di sostenere chi con la propria vita, di fronte a poteri estremi, decide di dire «Non un uomo, non un soldo per la guerra».

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