Dare valore alla fragilità

Il pomeriggio di sabato ha aperto uno spazio di condivisione per scorgere e offrire le tante forme di ricchezza di cui spesso la povertà è portatrice per i singoli, il corpo sociale e popoli interi. Perché tutti possono “dare”
Loppianolab 2016

Come le diverse situazioni di povertà e di fragilità racchiudono in sé delle ricchezze è stato il tema portante di tutta questa edizione di Loppianolab, non a caso intitolata Powertà; ma è stato proprio il forum del sabato pomeriggio, che ha ripreso questo titolo, a portare alla luce più di altri incontri esperienze pratiche che lo dimostrano.

Un contesto che esplicita bene come bellezza e fragilità possano andare a braccetto è il rione Sanità di Napoli: ed è lì che opera la Fondazione Comunità di San Gennaro, nata per volontà di don Antonio Loffredo. In un quartiere che stipa oltre 30 mila persone in 2 km, dove l’abbandono scolastico supera il 40% e la microcriminalità è diffusa, è stato avviato un processo di cambiamento dal basso che ha assunto molteplici forme grazie al coinvolgimento di parrocchie, associazioni e anche aziende e professionisti: dalla Sanità Ensemble che offre corsi gratuiti di musica ai bambini, al Teatro Sanità, ai centri educativi per oltre 400 ragazzi, fino alla riapertura delle catacombe di San Gennaro in gestione alla cooperativa La Paranza, passate in pochi anni da 6 mila a 70 mila visitatori all’anno. In questa esperienza, raccontata da Melania Cimmino, si inserisce anche quella della cooperativa sociale Officina dei Talenti, che si occupa di inserimento lavorativo di persone svantaggiate: e a illustrarla è stata l’attuale presidente Maria Pia Ortoli, con un passato di tossicodipendenza, che grazie a questa esperienza ha dato un nuovo senso alla sua vita.

 

A “ridare potere” a simili forme di povertà è anche il Village Saint Joseph in Bretagna, frutto del percorso iniziato nel 1993 da Nathanaël e Katia Gay con il loro matrimonio. Dopo aver accolto in casa la madre malata di lei, i due hanno fatto spazio a via via più persone in difficoltà – ammalati, alcolisti, tossicodipendenti – sotto il proprio tetto; e oggi il villaggio conta due sedi con due case ciascuno, per una decina di persone stabili in ciascuna, più altre che vi soggiornano solo temporaneamente. I pilastri della vita lì, hanno spiegato i due, sono «le attività proposte – laboratori mirati al reinserimento lavorativo –, la vita fraterna e la vita spirituale», per arrivare ad una “guarigione interiore”. Testimonianza dell’efficacia di questo approccio è stato il racconto di Nicolas, ex alcolista, che ha ammesso come «tre anni di psichiatri non sono riusciti a fare ciò che il villaggio ha fatto in quattro mesi».

 

Una delle “povertà” che molte famiglie conoscono da vicino è poi quella della disabilità: e anche qui unire le forze può consentire di trasformarla in ricchezza come riferito da Rita Polo dell’Associazione Bambini Cerebrolesi, nata 25 anni fa in Sardegna come gruppo di autoaiuto di famiglie, e che oggi grazie all’essersi messa in rete con altre associazioni a livello nazionale ha esteso la sua opera in maniera tale da permettere anche a tante altre persone di averne beneficio. Solo in Sardegna, ha ricordato la Polo, «siamo passati dal non avere alcun progetto personalizzato di servizi di assistenza nel 1999 ad averne oltre 30 mila nel 2015, per oltre 15 mila posti di lavoro part time e 1 miliardo di euro investiti in totale. Inoltre questi progetti hanno consentito di diminuire le spese sanitarie assistendo le persone in casa, e di far emergere il lavoro nero nell’assistenza domiciliare favorendo i contratti regolari».

 

Una serie di esempi che, secondo l’economista Leonardo Becchetti, ci «impongono la missione di aiutare a riscoprire la vera ricchezza, ossia i legami umani»; nonché di essere quella che lui ha definito «la tribù dell’1+1=3 – ossia valorizzare gli effetti moltiplicatori del lavoro in rete – contro quella dell’1-1=0» a cui i tanti tagli che la politica impone al welfare sembra porre davanti.

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