Dalla parte degli oppressi con Milani e Mazzolari

Il richiamo di Francesco ai due preti portatori dell’inquietudine evangelica nella coscienza di tanti, sollecita risposte sulle crescenti politiche di guerra  
ANSA / OLIVIERO TOSCANI/FONDAZIONE PER LE SCIENZE RELIGIOSE GIOVANNI XXIII (U.S.)

«Don Lorenzo ha speso la sua vita per ridare dignità ai contadini e agli operai, che a causa della propria inferiorità culturale, erano umiliati, oppressi e saccheggiati da imprenditori, proprietari terrieri e ogni sorta di profittatori».

Dopo molte polemiche e strumentalizzazioni, ci hanno pensato, con un breve comunicato stampa, i due fratelli Gesualdi (Michele e Francesco) a ridire parole pieno di senso e chiare, come pretendeva don Milani, il priore di quella scuola di Barbiana, minuscolo borgo sui monti del Mugello dove, nel 1954, la curia lo aveva spedito in punizione. Un giovane prete, figlio dell’alta, laica e colta borghesia fiorentina.

Una parte significativa dell’attuale società italiana non si potrebbe comprendere senza conoscere queste radici. I testi di quella scuola, da “Lettera a una professoressa” all’ “Obbedienza non è più una virtù”, continuano a scavare nella profondità delle coscienze. Così come le lettere di Milani e il primo libro, “Esperienze pastorali”, censurato dall’autorità ecclesiastica del tempo.

Molte scelte radicali di tantissime persone hanno avuto questa impronta, come affiora quando si va ad indagare nella vita di coloro che hanno dedicato anni di impegno in ogni campo, sempre con quella determinazione di stare “Dalla parte degli ultimi” come si intitola il bel libro che gli dedicò Neera Fallaci, la sorella meno nota di Oriana.

Lo ripetono i fratelli Gesualdi quando dicono «la sua dedizione per quelli che papa Bergoglio definisce “scartati” è stata totale. Non desiderando nient’altro che il bene dei suoi allievi, anche il suo amore è stato totale. Fino a fargli dimenticare se stesso».

Ma c’è poco di consolatorio e agiografico in questa storia. Non solo per il tratto polemico tipicamente fiorentino. Milani resta scomodo perché aiuta a prendere posizione controcorrente. Anche da soli se occorre.

AP Photo/Mosa'ab Elshamy, File

«Star sulle scatole a tutti», per citarlo traducendo qualche parola dell’originale. Non si spiegherebbe altrimenti la determinazione ad affrontare il processo penale e gli attacchi più meschini quando decise di affrontare i cappellani militari che avevano condannato l’obiezione di coscienza al servizio militare come «atto di viltà, estraneo all’amore evangelico».

Per poterlo fare bene, riscrisse la storia degli ultimi secoli con poche battute mettendo in evidenza il legame solido tra guerra e menzogna con particolare riferimento alla mitologia patriottica incentrata sulla carneficina del primo conflitto mondiale.

Per questo motivo il gesto del papa di annunciare la prossima visita, a giugno, sulle tombe di Mazzolari e Milani alla vigilia del suo difficile viaggio in Egitto tra scenari di conflitti atomici annunciati dalla potenza statunitense, va inteso non certo solo come un gesto di memoria e devozione.

Don Mazzolari partì come interventista democratico per la Grande Guerra per tornare convito della priorità del comandamento del “non uccidere” liberato da ogni giustificazione teoretica. Perseguitato dal fascismo e osteggiato dalla sua Chiesa, scavò in maniera profonda nella cultura e nelle coscienze personali in maniera ben superiore a tutta la produzione libraria dell’epoca. Lui, un parroco di contadini, ostacolato a stampare anche in loco.

Nel 1941, in pieno conflitto, si rivolse ad un giovane aviatore, suo allievo, che gli poneva giustamente la domanda, generalmente rimossa, sull’obbedienza dovuta ad un regime iniquo.

Mazzolari rispose in maniera ampia e articolata arrivando a definire non tanto il diritto ma il “dovere della rivolta”.

Non meno difficile e incompreso fu, ovviamente, il suo operato nell’Italia del dopoguerra, comunque ricca di stimoli e contraddizioni nel clima dei blocchi ideologici contrapposti.

Sono percorsi esistenziali che non generano un culto della personalità ma un metodo esigente da seguire. Come hanno ribadito ancora i due Gesualdi, Milani «detestava ogni forma di personalismo, sia sotto forma di culto della personalità che di denigrazione. Convinto che le idee e le esperienze sono sempre il risultato di cammini collettivi, di incontri fra persone, culture, storie, il suo desiderio era scomparire come persona. La verità non è proprietà privata di nessuno, né richiede meriti particolari per essere perseguita».

Per questa ragione, rifarsi a Milani (1923-1967)  e a Mazzolari (1890- 1959) significa porsi delle domande sul nostro tempo a partire dalle scelte di guerra e di pace.

SiriaAd esempio, come possiamo vivere tranquilli se dal nostro Paese partono armi destinate a insanguinare i conflitti mediorientali, a partire dalla sconosciuta guerra nello Yemen? È possibile accettare gli accordi per fermare nel deserto i migranti che fuggono dalla morte per violenze e miseria? L’Italia deve piegarsi, come Paese Nato, al dettato di Trump di aumentare le spese militari a discapito di quelle sociali, la scuola o la ricerca? Bisogna obbedire a chi chiede truppe per le nuove guerre minacciate?

Salire a Barbiana , come nella Bozzolo di Mazzolari, senza portarsi queste domande, vorrebbe dire meritarsi quei calci che don Milani minacciava di dare al giovane comunista che, invece di studiare, perdeva tempo e denaro comprando il giornale sportivo.

Quella forte sgridata era un gesto di affetto estremo che avvertiva il ragazzo dei calci che avrebbe preso nella vita da coloro che avrebbero avuto comunque i soldi e il sapere (cioè  dai “padroni” per usare la parola che oggi suona blasfema).

«Il nostro mondo dilaniato dalla violenza cieca – ha affermato Francesco annunciando il suo viaggio in Egitto – ha bisogno di persone libere e liberatrici, di persone coraggiose che sanno imparare dal passato per costruire il futuro».

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