Dal Palazzo qualcosa di nuovo?

Howard Dean ci spiega che loro, i democratici statunitensi, si sono dati due priorità: la prima, bussare di porta in porta per conoscere e farsi conoscere, la seconda cercare relazioni con le Chiese negli Usa per comprendere i valori necessari alla vita politica. Lo incontriamo di ritorno dal congresso dei Ds e da un lungo colloquio con i vertici della Margherita. È interessato alle nostre vicende. Nel quadro statico della politica italiana non c’è dubbio che qualcosa sia successo. Il novum, tante volte evocato in questi anni, sperato da molti e temuto da altri, è avvenuto: due dei partiti maggiori, Ds e Margherita, hanno trovato il coraggio di convocarsi per auto-sciogliersi e dare vita ad una nuova formazione che vedrà la propria assemblea costituente nel prossimo autunno. Dodici anni di accelerazioni improvvise e di brusche frenate: una maratona, non un’improvvisazione. Le ragioni? Molteplici.Remote e internazionali, come la caduta del muro di Berlino e la necessità, per comunisti e post- comunisti, di fare i conti con una bruciante sconfitta storica. Non mancano motivazioni più interne e tecniche, come il nuovo assetto bipolare, frutto della logica elettorale maggioritaria, sconvolgente per un sistema di democrazia rappresentativa. Tra i fattori di accelerazione, l’adesione di massa, a sorpresa, alle primarie, per scegliere il candidato premier, prima delle ultime elezioni politiche, segno della volontà di una diversa organizzazione e partecipazione nella gente del centro-sinistra. La confluenza dei Ds e della Margherita in un nuovo soggetto politico dovrebbe servire, nelle intenzioni dei promotori, a semplificare il contesto politico del centro-sinistra: meno segreterie parteciperanno alle riunioni di vertice, più facile sarà maturare decisioni per le scelte immediate e per quelle d’indirizzo. E il nuovo segretario del Partito democratico (a proposito, chi sarà?) si presenterà nel centro-sinistra forte dell’accresciuto peso nei confronti di rappresentanti di formazioni rispettabilissime ma con relativa consistenza. Tuttavia, Fassino e Rutelli devono prendere atto che ora c’è pure il gruppo che fa capo a Mussi, che, in sintonia con Diliberto, riconfermato alla segreteria del Pdci, vuole ricompattare la sinistra. Quanto mai discoste fra loro le due assemblee congressuali – forse non senza motivo -, a cominciare dalle scenografie: uno stile celebrativo a Firenze per l’ultima volta dei Ds; una cornice dimessa per i delegati della Margherita. Molte invece le questioni comuni in discussione, pur tra tante sostanziali diversità. Due tra tutte: il nome e la collocazione europea. Il nome: non una etichetta, ma una questione di antropologia applicata. Non più compagni, non più amici, non ancora fratelli… Qualcuno ha scorto nell’aggettivo democratico la quadratura del cerchio. Ma di fronte alla sfida di una governance globale, alla ricerca di nuovi valori portanti in un mondo multiculturale e insieme percorso da tentazioni fondamentaliste, l’aggettivo democratico non è la soluzione: per ora solo l’identificazione del problema. La scelta democratica non è sufficiente, va sostanziata con una ricerca appassionata e partecipata di valori e motivazioni. La collocazione non è stata decisa. Un’occasione forse mancata. Oggi i concetti di destra e di sinistra non sono più capaci di interpretare la realtà. Fin dalla sua nascita, il Parlamento europeo ha previsto la possibilità di formazioni nuove proprio per meglio accompagnare e promuovere, irrobustendola, la storia dell’unità europea. Guardare indietro nella collocazione del Pd sarebbe una sconfitta. Nome e collocazione europea saranno da definire. Ma ancora di più le linee portanti e gli obiettivi strategici. Nei due congressi non si sono colti con evidenza. Un difetto di comunicazione? O la reale difficoltà a far convergere in una piattaforma condivisa il filone post-comunista, le istanze del cattolicesimo democratico, il contributo del pensiero liberale? Adesso si vedrà se il parto della nuova formazione è stato o meno prematuro, se si è trattato di un’operazione solo di vertice, se le differenze convivranno in un dialogo alto e costruttivo. Domande diffuse tra la gente, queste. Come altre, che travagliano tanti cattolici, sintetizzabili in una: come guardare a quest’incontro nel Partito democratico rispetto all’ipotesi, echeggiata anche nel recente congresso dell’Udc, di ricomporre al centro una formazione- federazione che attinga – con tutti i limiti dell’operazione – all’ispirazione cristiana? Frutto della nostalgia, questo, chiave del futuro, quello? Il coraggio di aprire piste nuove, a Roma, già suscita interesse. In Francia, Bayrou si richiama alla novità del vicino Partito democratico per tracciare il suo futuro cammino politico. Dalla Grecia Papandreu plaude alla capacità di indicare strade nuove che segneranno la futura vita politica di altri Paesi. L’unica certezza, al momento, è che nel centro-destra si guarda all’esperimento del Pd per misurare i costi ed i benefici di un’ardita, necessaria operazione di semplificazione politica.

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