Dal circolo vizioso al circolo virtuoso

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Da una parte le ragioni della protesta, dall’altra la necessità, anzi l’urgenza, di riacquistare fiducia e voltare pagina. È dei rifiuti a Napoli e dintorni che stiamo parlando. Di una crisi che va avanti da 14 anni e non si capisce con quale coraggio si continui a chiamarla emergenza. Di decisioni presentate come risolutive che, di fatto, non sono approdate a soluzioni. È qualcosa di inspiegabile come si sia potuti arrivare a tanto, senza trovare vie d’uscita. E chissà ancora per quanto… Speriamo per poco. Tanto più che nella vicina Salerno e in gran parte della provincia di Benevento – dove la raccolta differenziata funziona abbastanza bene e dove la densità della popolazione è di molto inferiore a quella dell’area metropolitana di Napoli-Caserta – il panorama è tutt’altro; quindi non siamo di fronte ad una malformazione genetica della Campania. Certo, oltre ai cumuli di spazzatura, colpisce l’atteggiamento della gente che sembra non voglia far altro che protestare all’annuncio di qualsiasi proposta. E così, insieme ai rifiuti che nessuno vuole, ci sono le discariche, gli inceneritori e i termovalorizzatori che nessuno gradisce. Strano, no? Forse, pur coi dovuti distinguo verso chi approfitta della situazione per mettere in atto violenze del tutto gratuite, bisogna tener conto di una certa comprensibile… sindrome da ennesima bufala. Non quella campana, buonissima, ma quella che significa presa in giro. Perché là dove c’era l’erba ora ci sono (mi perdoni Celentano) diossina, percolato, falde acquifere inquinate, rifiuti a cielo aperto… E dove doveva sorgere un nuovo impianto di smaltimento, risultava antiquato il modo di gestirlo. Un esempio emblematico: Acerra. Riavvolgiamo il nastro all’agosto del 2004, quando andavano in onda le stesse scene di protesta cui stiamo assistendo in questi giorni. Anche in quel caso erano arrivate ruspe e forze dell’ordine per dare il via alla costruzione di un nuovo impianto, quel termovalorizzatore che avrebbe dovuto dare un contributo importante allo smaltimento dei rifiuti in Campania. Ero andata sul posto, quella volta, e tutti, dai cittadini al sindaco e ai parroci mi avevano evidenziato alcune motivazioni della protesta: la scelta del luogo non aveva coinvolto le rappresentanze locali, ma era stata presa in maniera univoca dalla Fibe, l’azienda privata che avrebbe realizzato l’impianto e gestito l’intero ciclo dei rifiuti; non era stata fatta una valutazione di impatto ambientale, tradendo così la vocazione agroalimentare del territorio. Senza dimenticare che un termovalorizzatore non può funzionare se prima non si è avviata la raccolta differenziata (e a girar le strade di certi comuni campani, ancora oggi non esistono neanche i cassonetti adatti). Torniamo ai nostri giorni. Purtroppo il partito di quelli della ennesima bufala aveva ragione, almeno in parte. La Fibe, del gruppo Impregilo, lo scorso giugno finisce sotto inchiesta con ipotesi di truffa aggravata relativamente alle attività di smaltimento, trattamento e recupero energetico dei rifiuti. Per completare l’impianto di Acerra viene indetta una nuova gara d’appalto che, alla prima scadenza, il 31 dicembre, non vede farsi avanti nessuno. Vengono prorogati i tempi, ma anche chi dimostra un timido interesse, come la francese Veolia, non esita ad esprimere le sue perplessità: I problemi tecnici sappiamo di poterli affrontare anche perché quello di Acerra è un impianto di alto livello, uno dei più avanzati in Europa. Quello che ci preoccupa sono i problemi politici che sono sotto gli occhi di tutti , dicono. No comment, anche se avremmo elementi per scendere nei dettagli delle inadempienze, delle complicità, delle infiltrazioni che insieme ai rifiuti hanno gettato fango sulla Campania e sull’intero Paese. Il quale, del resto, non ci ha fatto una gran bella figura. Solidarietà dalle altre regioni, era stata invocata già in dicembre, per risolvere, almeno a breve termine l’emergenza rifiuti. Un aiuto che avrebbe snellito le operazioni, anche perché tanti di quei materiali che hanno fatto implodere le discariche, vengono da varie parti d’Italia, dal momento che in Campania la camorra generosamente aiuta a smaltire anche i rifiuti pericolosi. La risposta l’abbiamo vista: qualche sì (pochi), qualche ni, qualche no, deciso e irrevocabile. Motivi tecnici ed altri politici che di certo hanno dimostrato quanto sia diffusa da nord a sud la cultura nimby: not in my backyard, qualsiasi posto va bene purché non sia nel mio giardino. Ma la vicenda ha messo in evi- denza anche quanto tutto il Paese sia indietro nella gestione dei rifiuti e si corra talvolta il rischio di un collasso. A cominciare dalla verdeggiante Umbria, dove è stato messo sotto sequestro l’inceneritore di Terni; per non parlare del Lazio dove non sono certo sufficienti i due termovalorizzatori esistenti e ci si affida ancora a discariche che andrebbero chiuse per saturazione; e la Toscana è vicina all’esaurimento degli spazi, il Piemonte fatica a smaltire i propri rifiuti, la Valle d’Aosta ha un’autonomia di qualche anno, l’Abruzzo vede all’orizzonte l’emergenza… Insomma siamo indietro ovunque, e potrebbe succedere prima o poi l’irreparabile. Come conferma qualche dato, tra i numerosi e dettagliati forniti dal rapporto annuale dell’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici). Anzitutto la produzione dei rifiuti che cresce ogni anno. Poi lo smaltimento in discarica, che pur mostrando una lieve riduzione, si conferma come la forma di gestione più utilizzata. E infine, uno dei punti nevralgici della questione, forse il vero punto dolens: la raccolta differenziata, primo anello della gestione dei rifiuti, risulta ben lontana, in buona parte del Paese, dagli obiettivi prefissati (vedi box). Dottò, non faccio più droga. No, adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dottò. Perché per noi la monnezza è oro, confessava il pentito della camorra Nunzio Perrella al procuratore Roberti, già nel 1992. E non aveva torto a dire che la spazzatura si può trasformare in ricchezza. Certo, non nel senso inteso dalla camorra, ma nel senso che grazie ad un riciclaggio fatto bene, il materiale buttato via rientra nel giro produttivo vuoi sotto forma di compost (la frazione organica), vuoi di carta o vetro, vuoi di combustibile per produrre energia. C’è chi avanza la teoria delle quattro erre: risparmio delle materie prime; riuso dei prodotti; riciclo degli oggetti; recupero dell’energia. Ecco, forse, il metodo per passare da un circolo vizioso ad uno virtuoso, recuperando, insieme all’energia, anche il senso del bene comune e la capacità di dialogo. E mettendo a tacere animosità incontrollate e proteste (a volte comprensibili, altre proprio no) che vanno avanti a oltranza. È vero, non si va lontano con ruspe e dispiegamento delle forze dell’ordine: se non si recupera la fiducia né san Gennaro, né De Gennaro potranno fare il miracolo. Ma bisogna pure metterci del proprio, sviluppando tra il resto anche una maggiore cultura dell’impresa. In Campania, in primo luogo, ma anche nel resto di Italia. COME VA IL PAESE Per la raccolta differenziata, l’Italia si attesta complessivamente intorno al 25 per cento, con forti differenze tra le varie regioni. Dal gruppo di testa tra il 47 e il 37 per cento (Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia e Piemonte), al gruppo di mezzo, tra il 30 e il 20 per cento (Emilia Romagna, Toscana e Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Umbria); fino alle regioni tra il 15 e il 20 per cento (Liguria, Marche e Abruzzo). Le altre si attestano a livelli molto più bassi né mostrano particolari segni di ripresa, eccezion fatta per la Sardegna che, con un più 4 per cento in questi anni è arrivata al 10 per cento. Un risultato comunque lontano dagli obiettivi che già per il 2003 prevedevano una percentuale di raccolta differenziata del 35 per cento, un aumento fino al 50 per cento entro dicembre 2009 ed almeno il 60 per cento entro il 2011. Tra le province si evidenzia Treviso quasi al 70 per cento, mentre circa 25 province tra nord e centro sono situate tra il 50 e il 25 per cento. Nel mezzogiorno si salvano Teramo (24,2 per cento), Oristano (20,7 per cento) e Salerno (19,7 per cento). MENO CHIACCHIERE, PIÙ AZIONI POSITIVE Da Napoli, un contributo di chi da anni si è messo in moto per il bene della città. Circa 10 anni fa, nell’aprile del ’98, ci siamo riuniti con un gruppo di cittadini del quartiere San Ferdinando e, partendo da alcuni problemi gravi, ci siamo attivati per cercare di risolverli. Ci siamo poi costituiti come associazione Plebiscito & Dintorni per sottolineare i problemi di un quartiere alle spalle del salotto bene di Napoli, e negli anni abbiamo fatto tante iniziative che ci hanno fatto sperimentare una ricaduta positiva sull’intero tessuto sociale di rapporti costruttivi. L’anno scorso abbiamo aderito al progetto della costituzione di un Comitato civico della Prima municipalità, allargando così il nostro orizzonte ma potendo condividere con altri il nostro impegno civile. Già a luglio, nell’assemblea del comitato abbiamo concentrato la nostra attenzione ed il nostro impegno per la realizzazione di una raccolta differenziata fatta con più attenzione nella Prima municipalità. Per prima cosa abbiamo cercato il dialogo con l’Asia, l’azienda preposta a tale compito. Abbiamo individuato la possibile realizzazione di un progetto: realizzare in due spazi (l’uno a Mergellina e l’altro tra Monte Echia e Piazza Plebiscito) due spazi modello in cui condominii, scuole, parrocchie, negozianti, potessero sperimentare cosa sarebbe l’intero quartiere, e perché no l’intera città, se tutti facessero la loro parte. Abbiamo intitolato il nostro progetto: Amare la differenziata. Oggi la grossa emergenza ci spinge a mettere da parte la realizzazione delle zone modello, coscienti che non potremmo avere il supporto dell’Asia, ma abbiamo ribadito la nostra disponibilità a farci carico della corretta informazione per l’intera municipalità per l’avvio della differenziata, sempre in stretto dialogo, con le istituzioni e enti preposti per avere garanzia che il ciclo sia completo in tutte le sue fasi.

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