Dai pupi alle Opere

L’arte di Anna Cuticchio, prima donna pupara, diventa l’anima di una missione in Tanzania
Anna Cuticchio

I pupi sono stati i suoi compagni di gioco, poi sono diventati i suoi datori di lavoro. Ora sono l’investimento che potrebbe dare una scuola e un’istruzione a centinaia di bambini in Tanzania. Anna Cuticchio, cognome importante nel teatro popolare, con quelle marionette dalle armature lucenti, per anni ha messo in scena le gesta epiche dei paladini di Francia, tratte dai testi di Ludovico Ariosto. Anna è stata la prima donna pupara, e forse resta anche l’unica, perché il suo mestiere non è proprio semplice.

«Mettere in scena uno spettacolo significa animare 60 pupi, dal peso non indifferente – spiega con competenza –. Orlando con tutta la sua armatura pesa anche 13 chili, e ognuna delle marionette non scende mai sotto i 10». Un mestiere faticosissimo se vi aggiungiamo la recitazione, i suoni della battaglia e la variazione di voci, adatto più agli uomini. E infatti sono i suoi fratelli, Nino e Mimmo, a continuare la tradizione di famiglia, anche perché dal 2001 Anna è diventata suor Marina, religiosa basiliana nella missione di Nyololo, in Tanzania.

Una vicenda epica anche la sua e stupefacente come sanno essere le storie di chi lascia la scena a Dio. Rapita giovanissima dall’uomo che sarebbe diventato suo marito, Anna ha avuto due figli e ha diviso la sua vita tra teatro, mondanità e un nuovo compagno dopo la dichiarazione di nullità del matrimonio. «Quando è morto mio figlio Giacomo, ho deciso di aprire un teatro tutto mio. L’ho intitolato a Bradamante, unica donna dell’esercito di Carlo Magno, indomita e coraggiosa. Resta il mio pupo preferito – confida quasi sottovoce – perché ricalca la mia vita». Su quel palco Anna sperimenta nuovi canovacci: nasce Cavalleria rusticana adattata all’Opera dei pupi «per unire teatro dei poveri e dei colti»; porta in tournée Cappuccetto rosso-verde, una favola moderna per educare i bambini al rispetto dell’ambiente.

Nel 1995 le viene chiesto di mettere in scena la storia di santa Marina di Bitinia: «La sua vita – spiega – mi appassiona. In strada ogni volto ricalca quel Dio sofferente che lei aveva scelto. Ogni sera, poi, darle voce e movenze è un lavorio interiore martellante». Un colloquio con il vescovo di Palermo sigla il radicale cambiamento, non capito dai più vicini, e poi la scelta religiosa. Oggi Anna, o meglio suor Marina, indossa un saio grigio poverissimo. Il suo teatro sono i villaggi di questo angolo dell’Africa. Ha messo nuovamente mano ai colori, non più per le scene ma per dipingere viae crucis e affreschi. Ideare costumi di scena è diventato cucire vestiti con avanzi di stoffa per i bimbi della missione. Le marionette sono invece diventate burattini evangelizzatori.

Il cuore è lì, ma continua la spola con Palermo, nella speranza di vendere i 180 pupi della sua collezione che l’Unesco ha dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità. «Con quei soldi potrei dare un tetto e i banchi alle scuole della missione e garantire istruzione per centinaia di bambini». Ai suoi progetti lavora anche la figlia attraverso l’associazione Asantesana (grazie molto, in swahili). «I fili invisibili che reggono quest’opera sono in mano a un Puparo d’eccezione e io non lo mollo», conclude sorridendo suor Marina. 

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