Da Buenos Aires

Hector Lorenzo è da trent’anni giornalista radiofonico e televisivo in Argentina e in altri paesi.

 

Nel 1978, quando la dittatura militare accresceva le sue persecuzioni su veri o sospetti guerrilleros, io conducevo un notiziario di mezz’ora ogni mattina in una radio di Buenos Aires. Si doveva mantenere un grande equilibrio fra le notizie che arrivavano dalle agenzie argentine – tutte controllate dal governo – e quelle straniere, che raccontavano una versione ben diversa dei fatti.

 

Tutti i giornalisti, speaker, artisti ed ogni persona che lavorava nei mezzi di comunicazione, veniva messa sotto inchiesta e spiata anche segretamente. Non era raro, come successe a me, che un finto collega – lo abbiamo saputo più tardi – si facesse amico nostro per scoprire se avessi qualche rapporto con intellettuali o militanti di sinistra. Si poteva “sparire” d’un momento al altro, soltanto per essersi impegnati in qualche azione per una maggiore giustizia sociale o per avere nell’agenda telefonica l’indirizzo di una qualsiasi persona con idee di sinistra.

 

Ricordo che, di fronte all’ angoscia generale dovuta allo stato di guerra nascosta, o “sporca” (come la definirono dopo, perché veniva sacrificata moltissima gente innocente che non c’entrava niente con la politica) pensai a diffondere fatti positivi, in uno spazio del programma che chiamai Cronica Blanca (cronaca bianca), ispirandomi al titolo d’un libro di esperienze positive pubblicato da Città Nuova in Italia.

 

Il programma, fatto anche con altri due colleghi, trovò il suo proprio stile, dando spazio anche alla diffusione di azioni di solidarietà svolte soprattutto dalla Caritas, che in quei giorni difendeva e assisteva migliaia di abitanti delle villas miserias le cui case di cartone e lamiera venivano buttate giù dalle ruspe del comune, mentre i suoi abitanti venivano letteralmente caricati sui camion con le poche cose che potevano prendere, e portati in punti sperduti della periferia, a cielo aperto, dove con tanta fatica mettevano su nuovamente le loro baracche. Il nostro programma, malgrado la costante e forte sorveglianza del governo, ha potuto essere una voce critica su questi avvenimenti.

 

Qualche anno dopo, finita la programmazione di quel programma, e tornata la democrazia, mi ritrovai con un giornalista amico, collega in quel programma, che mi disse: «C’e una donna che ha domandato di te… È una sorpresa». Quando lui me la presentò, lei – una ragazza molto vivace di 25 anni – mi disse: «È una grande gioia per me ringraziarvi personalmente, perché io sono stata quattro anni in carcere, sospettata d’avere rapporti coi guerriglieri; ma non hanno potuto provare niente. In quei giorni oscuri di quasi disperazione, l’unica voce di speranza che sentivo eravate voi, nel notiziario del mattino, e soprattutto le belle cronache bianche. Capivo che eravate gente con una forte spiritualità, mi avete dato tanto coraggio».

 

Un altro episodio. Per motivi di lavoro mi trovavo nella città “9 de Julio”, a 250 chilometri da Buenos Aires, quando sono stato invitato a partecipare ad un programma giornalistico della tv locale, per raccontare alcune esperienze vissute come corrispondente in altri paesi. Nello studio, c’erano anche tre giovani musicisti che, con le loro canzoni, esprimevano ideali di giustizia e solidarietà. Una giovane giornalista ci ha presentati tutti, e poco a poco, ognuno ha espresso non solo i suoi ideali, ma soprattutto fatti vissuti nella propria professione per incarnare quei valori. Personalmente sentivo che ogni parola aveva un grande peso e che veniva ascoltata e assorbita in gran silenzio. Ad un certo momento, ho visto che la giornalista si era commossa. Finito il programma ci siamo scambiati i recapiti, tanto era stato profondo il nostro, direi “casuale” incontro davanti alle telecamere.

 

Pochi giorni dopo, ritornato a Buenos Aires, mentre ero al lavoro, Cristina, mia moglie, riceve un telegramma a me indirizzato che diceva: «La prego di chiamarmi al telefono xxx». Firmato: «Cristina». Quando ritorno a casa, mia moglie mi disse: «Ma chi è questa Cristina che t’invia un telegramma chiedendo di chiamarla per telefono?». Io, sorpreso, gli dissi che non la conoscevo. Però, presi il telefono e chiamai a quel numero. Mi rispose una signora la quale mi disse che la Cristina del telegramma era sua madre. Aveva visto il programma in cui avevo partecipato a 9 de Julio e voleva parlarmi di qualcosa d’importante, e che sarebbe venuta a Buenos Aires a trovarmi.

 

Dopo tre giorni, nel mio ufficio entrava la misteriosa signora Cristina, una cinquantenne elegante, che lasciava intravedere una personalità delicata e colta: «Le chiedo di scusarmi per questa intervista per lei del tutto inaspettata – spiegò –, ma anche per me è stata una grande sorpresa vedere il programma televisivo a 9 de Julio, dove lei con altri giovani è stato intervistato. Perché sorpresa? Perché avete espresso i miei sentimenti più profondi, ed anche di più: c’era fra di voi una… non so come dire, un silenzio, una pienezza, una gioia profonda che mi ha conquistata. Allora, quando il programma è finito, mi sono detta: “Io devo parlare con qualcuno di loro, magari con quello più anziano, che era lei, per mettere in comune un grande problema, ma non perché voglia qualcosa da lei, ma soltanto per condividerlo». «Mi dica signora», le feci. E lei: «Ho un figlio che è dovuto scappare per non essere preso dai militari. Non so dove si trova».

 

Nei giorni successivi ho potuto mettere in contatto questa signora con un funzionario di una ambasciata straniera che, dopo tante indagini è riuscito a rintracciare suo figlio, in un altro paese dell’America Latina.

 

 

 

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