«Curo i miliziani del Califfato»

Un medico cristiano della piana di Ninive, in Iraq, e il complicato amore per i nemici

«Quando mi portano qualcuno da curare, per me si tratta di esseri umani e basta. E io li curo».

Niente di strano se non fosse che il dottor Bashar Alsaqat non esita a prestare le necessarie cure anche ai carnefici del suo popolo. Bashar è un cristiano. Vive nella piana di Ninive, laddove il Califfato islamico ha dato il peggio di sé. Lì dove «amare i nemici», non è mai stato così difficile. «La cosa in assoluto più complicata – risponde il dottor Alsaqat – è riuscire a persuadere i colleghi dell’ospedale a intervenire sui militanti del Daesh rimasti feriti». Lui non si tira indietro. E il buon esempio, prima o poi, finisce per contagiare.

«Gli altri dottori vedono quegli uomini come nemici, ma io cerco di convincerli a non dimenticare che siamo medici e che davanti a noi non c’ è un terrorista o un assassino, ma una persona». In quasi tre anni nella sua trincea ospedaliera ne ha curati a decine. Quasi tutti, dopo, finiscono nelle prigioni governative irachene.

Senza la fede, però, sarebbe tutto più complicato. «Quando nel 2014 gli uomini del Califfato hanno assediato la piana di Ninive, chi ha potuto è fuggito via. Anche noi avremmo potuto lasciare Erbil, dove abitiamo al limite della zona occupata dal Daesh, ma io sono un dottore e mia moglie un’insegnante. Avevamo il dovere di stare a fianco di chi è rimasto, di metterci al servizio della popolazione come abbiamo sempre fatto». È così che hanno resistito fino a quando, pochi mesi fa, i combattenti del Daesh sonostati costretti a indietreggiare.

Sposato e con due figli, il dottor Alsaqat ha lavorato spesso in condizioni disperate. «Per salvare una vita – dice – possono volerci anche diverse ore in sala operatoria, ma il nostro dovere è quello di fare tutto il possibile per chiunque abbia necessità di cure». Il lavoro non finisce con il turno in ospedale. Perché in casa vengono ospitati una cinquantina di profughi. Non tutti sono cristiani, ma nello spirito del Movimento dei Focolari, a cui la famiglia appartiene, il dialogo è pane quotidiano. Nabeela Jahola,la moglie, ha dovuto adattarsi alle necessità. «Prima facevo da mangiare per 4, adesso la cucina è organizzata per sfamare una cinquantina di persone per pasto». All’inizio hanno dovuto rinunciare anche all’ultimo comfort: «Abbiamo dato il nostro letto agli ospiti e siamo riusciti a raccogliere materassi per tutti». La loro giornata non finisce mai.

«Ci svegliamo presto – racconta la moglie – perché bisogna andare al mercato e comprare da mangiare per tutta questa gente. I primi sono arrivati di notte, erano spaventati e cercavano un riparo. Così abbiamo cercato di dare un tetto a chiunque lo chiedesse».

E in un Paese con le scuole che funzionano a singhiozzo, venire ospitati da un medico sposato con un’insegnante che fa da cuoca e da maestra è un vero miracolo. Nel  corso  della  Quaresima la famiglia Alsaqat ha potuto raggiungere per qualche giorno Roma, proprio grazie al Movimento fondato da Chiara Lubich. Un’iniezione di speranza che alimenta l’ottimismo che si respira dallo scorso febbraio,quando le prime famiglie cristianehanno potuto fare ritorno in quel che resta dei loro villaggi della Piana. L’avanzata dell’esercito dell’Iraq nella parte ovest di Mosul, ancora nelle mani del sedicente Stato islamico, procede però a rilento.

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