Covid e istruzione, la perdita della centralità dello studente

Ospiatiamo le opinioni dei nostri lettori. In questo articolo viene porposto un commento alle ultime decisioni prese sulla scuola per contrastare il dilagare del Virus, che fanno sì che si perda sempre di più la centralità dell'individuo nella scuola
Scuola AP Photo/Luca Bruno

Dopo l’annuncio del presidente Giuseppe Conte, che ha presentato il nuovo DPCM con le misure per contenere la pandemia, le scuole sono invitate a scaglionare ulteriormente gli orari di entrata e delle lezioni, che potranno svolgersi – se il personale e le condizioni lo consentiranno – anche di pomeriggio. Intanto, si continua a discutere della misura adottata dal presidente della Campania Vincenzo De Luca, che ha deciso di chiudere le Scuole per l’ampia diffusione sul Covid 19 sul territorio. Il Ministro della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina ha protestato, ma intanto gli studenti sono rimasti a casa e non tutti usufruendo della didattica a distanza. Sulla misura adottata dal governatore, e dettata anche dal difficile stato in cui vertono gli ospedali, già quasi al massimo della capienza, c’è chi plaude e chi dissente. In generale, c’è una gran confusione, mentre le scuole che non lo hanno ancora fatto si predispongono a “lavorare a distanza” per la sospensione delle attività in presenza.

I genitori sono preoccupati, i docenti pure, gli esperti dicono: “niente lockdown” per non avere ricadute sull’economia già precaria del Paese. Ma a subirne le conseguenze sono le famiglie che non possono permettersi di dare un aiuto ai propri figli, sia in termini di strumenti (pc, tablet, smartphone) sia di collegamento Internet. C’è una grande confusione in un momento di  crisi della scuola.

Papa Francesco intanto ha parlato al mondo rilanciando il Global compact on education, il Patto educativo globale, che propone una visione fortemente innovativa,  stigmatizzando quelle spinte propulsive verso una Scuola che intende raggiungere traguardi eccellenti a scapito spesso dell’integrazione e della cura per i più deboli e di un’esperienza relazionale di vera fraternità fra tutti, come prima e fondamentale esperienza educativa. Ci conforta questa “parola” perché pensiamo che quando la Scuola dimentica i diritti dei ragazzi non è più “la Scuola”, ma è diventata qualcos’altro.

Ci rendiamo conto che una vera e propria deriva contenutistica sta trasformando la Scuola secondaria di primo grado, e spesso anche la scuola primaria, riducendo il processo educativo ad un processo essenzialmente finalizzato agli obiettivi da raggiungere, che non pone più al centro il ragazzo, la crescita e la maturazione dei singoli allievi, ognuno diverso per carattere, capacità, sensibilità e per i quali non può esserci comparazione. Si privilegiano in tal modo quei ragazzi che hanno sviluppato  competenze specifiche, elevate capacità e acquisito metodi e processi mentali di livello medio alto. Pertanto tutti quei ragazzi che hanno manifestato nella scuola primaria una  maggiore lentezza di apprendimento  e  non hanno ancora sviluppato appieno le capacità prefissate si trovano ad  affrontare con fatica e difficoltà il triennio delle medie.

Un consiglio di classe di una prima media, alla fine della pandemia, nel giugno 2020,  rivolgendosi ad un genitore, in un incontro virtuale,  ha così serenamente affermato: “Noi lo porteremo in seconda anche se il ragazzo  non ha raggiunto gli obiettivi prefissati, per cui pensiamo che non potrà affrontare il percorso didattico della seconda media.” Qual era il significato recondito di questa affermazione? Implicitamente  chiedevano alla famiglia di provvedere, in quanto loro non avrebbero potuto farlo. In che maniera? Ma la scuola dell’obbligo non era nata proprio per evitare gli insegnamenti privati, e dare ad ogni ragazzo la possibilità di seguire un corso di studi adatto alle sue capacità?

Riflettendo su questo episodio, comprendiamo che la situazione scolastica nella scuola dell’obbligo è stata totalmente capovolta: non è più la scuola a servizio degli alunni e delle famiglie, non è più la scuola che si prende cura di ogni allievo, lavorando accanto ai ragazzi che incontrano difficoltà, ma è una scuola che discrimina. La didattica a distanza favorisce, d’altronde, questa discriminazione  perché si è costretti a lavorare da lontano, senza un contatto diretto.

Chi opera la didattica a distanza, nella fascia dell’obbligo,  deve almeno  porsi il problema, in quanto viene completamente  svuotato di significato il principio costituzionale che vuole una scuola che aiuti l’alunno a rimuovere quegli ostacoli che ne impediscono un avanzamento culturale e formativo.

Ci confortava l’esperienza di un insegnante che  nel collegarsi via Skipe con la classe, prima di cominciare la lezione chiedeva a tutti i ragazzi come stavano creando un rapporto con ciascuno, sostenendo e incoraggiando chi manifestava difficoltà. Poi chiedeva a tutti se  l’argomento trattato il giorno prima era stato compreso bene, e si soffermava  se era necessario. Poi invitava gli alunni che avevamo ben capito l’argomento e collegarsi con un compagno che aveva bisogno di aiuto. La sua preoccupazione primaria non era il programma ma i ragazzi, nella nuova e difficile situazione in cui si trovavano.

Riteniamo fondamentale che il docente sia libero di lavorare senza assilli o patemi d’anima, a seconda delle circostanze, a seconda degli alunni, e delle loro reali situazioni compreso la pandemia. La Scuola non è un azienda che deve produrre tot bulloni di una determinata fattura in un determinato tempo. Quel “lento ritmo di apprendimento” è semplicemente normale in una “persona” in evoluzione. E una Scuola degna di questo nome non può dimenticarlo.

Se le circolari ministeriali chiedono diversamente, se ci troviamo di fronte a leggi o regolamenti  che calpestano i diritti degli alunni, bisogna reagire. Sia gli insegnanti sia le famiglie non possono accettare che venga meno il principio costituzione di una Scuola dell’obbligo per tutti e a misura di ciascuno, per cui si può fare ricorso all’obiezione di coscienza; quell’obiezione di coscienza  per la quale, Igino Giordani  padre della Costituzione, si batté in Palamento dopo essere stato  il primo estensore della legge.

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