Contrastare l’impoverimento culturale

La cultura dovrebbe riflettere i bisogni spirituali e materiali dell’uomo, la complessità del tessuto sociale e del momento storico. Ma oggi c’è frammentazione e perdita di valutazione critica.
G20 della Cultura al Colosseo, Roma, foto Ap

Che cos’è la cultura oggi? Se si pensa ad una realtà concettualmente omogenea, non è semplice da definire. Più semplice è invece, parlare di cultura al plurale. Sembra più moderno e tiene conto della complessità del fenomeno. Tuttavia, una qualche generalizzazione è necessaria per avere un contesto di riferimento condiviso.

Riflettere su che cosa sia la cultura oggi in realtà è tema assai vasto che richiama non solo il senso del sapere, quanto i presupposti antropologici di quel sapere, poiché la conoscenza non è estranea ai valori della società e dell’uomo, anzi essa è parte preponderante di quella sapienza che definisce la profondità stessa dell’essere umano, la sua natura e la sua ragione. «È un fatto di vita», sostiene Julian Huxley nel saggio Un’istruzione per l’umanità contenuto nel volume collettivo Idee per un nuovo umanesimo, pubblicato nel 1962.

Benché datato, il testo analizza in maniera assai chiara le dinamiche culturali e gli effetti sociali. «Lo studio dell’uomo colto – aggiunge – non è rimasto allo stato di notizia, di informazione, di sapere particolare. Esso ha agito in lui, ha sedimentato, per così dire, una concezione del mondo, un modo di sentire, di pensare, una capacità autonoma di giudicare e di intendere…La cultura non è il sapere che immagazziniamo, ma la nostra umanità e intelligenza di vita, la nostra stessa vita che si è irrobustita ed accresciuta per mezzo di quel sapere».

Stando ad Huxley, la cultura definisce l’uomo non tanto per quello che sa, quanto per come usa il suo sapere in ragione di un servizio all’umanità e al progresso sociale. «Ogni disciplina ed ogni arte, ciascuno studio – sostiene, infatti –, costituiscono un’apertura sull’universo, una rivelazione, che agevola e arricchisce la nostra comprensione».

Così definito, il sapere ha un nesso stretto con la crescita culturale e la promozione umana in modo lato. «L’incontro a cui deve aprirsi ogni percorso culturale – chiarisce mons. Nunzio Galantino –, è un incontro con gli orizzonti della trascendenza, che non possono essere esclusi dai luoghi in cui si indagano le istanze dell’umano, si approfondiscono le dinamiche sociali emergenti, si pongono le basi del futuro».

La cultura deve, insomma, riflettere i bisogni spirituali e materiali dell’uomo, la complessità del tessuto sociale e del momento storico; deve valorizzare tanto le condizioni che portano verso l’approfondimento dell’umanità quanto la pluralità delle sue espressioni e dei suoi saperi, in particolare quelli tecnico-scientifici che oggi hanno una forte incidenza nella costruzione del mondo e del progresso.

«La tecnoscienza, ben orientata, – sostiene papa Francesco nella Laudato sì – è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. È anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il salto nell’ambito della bellezza».

«La logica della scienza – scrive mons. Vincenzo Paglia nel volume Il crollo del noi – ha scalzato altri saperi, assumendosi il compito di unica custode della verità».

L’uomo di oggi ha consapevolezza di questi aspetti? È una domanda ineludibile che pone l’accento sul tema della conoscenza in termini di responsabilità sociale, la quale implica un’attenta valutazione del sapere e una selezione dei contenuti.

Il cosa conoscere è importante quanto il come, dal momento che, come sosteneva il sociologo della comunicazione Herbert Marshall McLuhan, il mezzo è il messaggio. «Nell’età di Google e di Wikipedia – sostiene Ezio Mauro in Babel, un libro scritto con Zygmunt Bauman – noi chiediamo alla tecnica non soltanto una soluzione ma, spesso senza accorgercene, una selezione. A saltare nel nostro processo cognitivo è proprio la selezione, cioè la capacità di capire, scartare, definire, affinare e, infine, scegliere. È proprio questo sgravio ciò che rende seducente la tecnologia. Non vediamo più il processo, non vediamo il concetto, abbagliati dalla velocità di soluzione».

Il come è, indubbiamente, parte preponderante del problema poiché incidendo sui processi cognitivi altera la natura stessa dell’uomo e il modo di essere della società. «I media non sono mai neutrali», conferma Paolo Benanti, esperto di bioetica ed etica delle tecnologie sulla base del pensiero di Harold Innis. «Per la loro stessa natura, essi strutturano sia le interazioni tra gli individui sia la forma e la circolazione delle conoscenze».

I social in particolare iperstimolano il cervello senza dargli il tempo di riflettere, commenta Fabio Pasqualetti, sociologo dei media digitali dell’Università salesiana di Roma. «Questa riconfigurazione cognitiva – aggiunge in un’intervista rilasciata a Rocco D’Ambrosio per Globalist – certamente sviluppa alcune abilità a scapito però della perdita di valutazione critica, resilienza e meditazione che sono quelle abilità necessarie per crescere come persone mature e responsabili».

«L’ecologia della nostra conoscenza quotidiana è cambiata profondamente», dice il linguista Raffaese Simone, autore di La terza fase. Forme del sapere che stiamo perdendo, sentito da Marco Pacini per L’Espresso. «Siamo continuamente in rete per avere informazioni, ma di questa informazione non siamo in grado di formare un organismo strutturato, restano informazioni irrelate; la conoscenza è diventata un insieme di frammenti».

Con quali conseguenze? «In una società in cui il frammento si sostituisce al racconto, in cui tutto ciò che è razionale e complesso sembra inaccettabile o inutile – sintetizza Walter Veltroni sul Corriere della Sera – si fanno strada due fenomeni: la forza del populismo di ogni tipo, che agisce sull’emotività e sulla suggestione, e la permanente instabilità dei governi».

Il modo in cui si forma la cultura oggi pone non poche perplessità. Lo dice senza mezzi termini Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratorio di computational social science all’Istituto IMT alti studi di Lucca. «Le dinamiche sociali che emergono dai nostri studi – scrive – evidenziano in modo chiaro le problematicità relative alla formazione e all’emergenza di narrazioni su fatti e fenomeni potenzialmente erronei nei social media. La selezione dei contenuti avviene per pregiudizio di conferma, ovvero per confirmation bias, e questo porta alla formazione di gruppi solidali su specifici temi e narrazioni che tendono a rinforzarsi e allo stesso tempo ignorare tutto il resto».

È convinzione di numerosi intellettuali che il rischio maggiore sia la perdita di una sapienza basata su criteri di discernimento e fondati su analisi profonde corroborate da un sapere sedimentato. Per il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, teorico della cultura, «le informazioni hanno un ristretto margine d’attualità, manca loro la stabilità temporale, in quanto vivono del fascino della sorpresa. A causa della loro instabilità temporale – evidenzia in Infocrazia – esse frammentano la percezione: gettano in realtà in un vortice permanente di attualità».

«In questo nuovo rapporto con il tempo – rinforza Ezio Mauro – perde valore ciò che nel tempo si è costruito e che al tempo è debitore, come l’esperienza, la competenza, la conoscenza. Se tutto è contemporaneo, conta solo l’immediato, non ciò che si è accumulato».

La storia, quindi, perde di senso, la memoria diventa episodica e il pensiero, spiega il latinista Ivano Dionigi nel pamphlet Osa sapere, «sembra segnare il passo e soffrire di anoressia; come se stessimo smarrendo alcuni fondamenti».

In un contesto così mobile e in continua evoluzione, preoccupa che in Italia si legga meno che in altri Paesi della Ue. «Verrebbe da chiedersi – commenta Luca Gentile, direttore editoriale del Gruppo Città Nuova – se questo sia l’effetto di un numero ridotto di lettori o piuttosto di politiche culturali non adeguate, che sembrano la vera grande fragilità nazionale».

L’accento non è sulla dimensione commerciale, ovviamente, ma sul rischio di impoverimento culturale che occorre evitare a tutti i costi. È un tema che non può essere eluso, ne va della dimensione umana e spirituale dell’essere e della società. Ragion per cui è una delle grandi sfide della modernità.

Su questo tema leggi anche gli articoli del dossier: Cultura è vita

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