Con occhi nuovi

Un certo Ermanno Domenica 5 febbraio, verso le 11,15, sto per uscire, quando suonano alla porta. Un uomo mi chiede di parlare con la superiora. Gli spiego che sarebbe difficile trovarla in quella mattina di domenica. Dice di aver bisogno di un po’ di soldi. Gli rispondo che il denaro per i poveri la nostra comunità lo da direttamente alla Caritas, che provvede poi a distribuirlo secondo le priorità. Gli propongo di recarsi lui stesso al più vicino centro della Caritas, offrendomi di accompagnarlo per un tratto per indicargli la strada. L’uomo è teso, preoccupato. Mi dice: Sono disperato. Gli domando se ha famiglia, se lavora. Sono disoccupato – mi risponde -. Facevo il camionista, ma dopo i cinquant’anni non ho più trovato lavoro. Dice anche che era sposato, ma si è separato. Grazie a Dio – prosegue – non ho figli. Se però li avessi, forse la situazione sarebbe diversa. Proseguiamo in silenzio. Vedendo la sua tristezza, gli chiedo se ha fede. Una fede molto debole – mi risponde -, sembra che Dio mi abbia dimenticato. Gli ricordo allora che Dio lo ama, che pone il suo sguardo su di lui, uno sguardo pieno di tenerezza. Ascolta in silenzio. Alquanto rinfrancato, dice di chiamarsi Ermanno e vuole conoscere il mio nome. Sono suor Maria, gli rispondo. E aggiungo che vorrei tanto che fosse per lui un conforto sentirsi amato da Dio.Mi prende le mani e dice semplicemente: Grazie, sorella. Prima di separarci, aggiunge che è originario di Verona, ma non ha più famiglia lì. Ora vive a Roma. Rientrando a casa, racconto alla superiora l’accaduto, aggiungendo che forse quell’uomo sarebbe tornato chiedendo di me. Proprio alla fine di quella stessa mattinata, mentre in cappella recitiamo l’Ora media, una consorella mi avverte che un certo Ermanno chiede di me. Esco subito, e mi viene incontro un Ermanno tanto luminoso in volto quanto prima era triste.Mi racconta che, poco dopo esserci salutati, ha incontrato un passante al quale ha confidato tutta la sua disperazione. Non lo conosceva, non l’aveva mai incontrato prima. Quell’uomo si è fermato ad ascoltarlo, ed alla fine gli ha messo in mano 50 euro dicendogli: Siamo fratelli, no? Io mi chiamo Massimo. Per questo era tornato: per ringraziare. Troppo forte era ciò che aveva sperimentato, al di là dell’aiuto economico ricevuto, e voleva condividere con me questa gioia. Mi consegna cinque euro chiedendomi di far celebrare una messa nella nostra cappella. Ci salutiamo con tanta gioia e con un arrivederci. Suor Maria Mio padre, il primo prossimo Sono la maggiore di sei fratelli, e studio all’università di Seul. Quando ero ancora alle superiori, nella mia famiglia c’è stato un grosso tracollo economico, perché la ditta di mio padre ha fatto fallimento. Tutto è cambiato nella nostra vita. La mamma si è rimessa a lavorare e stava fuori casa tutto il giorno. Io, che sino ad allora non avevo pensato ad altro che a studiare, mi sono trovata di colpo a dovermi occupare, dopo la scuola, delle faccende domestiche e dei miei fratelli più piccoli. Ciò che più mi costava era il rapporto con nostro padre. Vedendolo soffrire, da un lato mi faceva pena. Non potevo fare a meno però di pensare che, in fondo, era lui il responsabile della nostra situazione. Lo giudicavo un fallito, un incapace. Evitavo di stare con lui, di mangiare insieme; quando lui c’era, stavo fuori casa più a lungo possibile. Un giorno, trovandomi sola con lui, ho sentito forte che questo mio modo di comportarmi non andava bene, non era coerente con il mio cristianesimo. Ho capito che era proprio mio padre il primo prossimo da amare. In principio non sapevo come muovermi, ma ho provato ugualmente ad avviare una conversazione con lui. Abbiamo cenato insieme, e quel gesto di attenzione ha segnato l’inizio di un periodo più sereno in famiglia. È stato un piccolo atto, ma mi ha riempito di gioia. Era come se dal cuore mi avessero tolto un grande peso. Eun Ju Bae Una semplice vicina di casa Tempo fa mi è stato diagnosticato un tumore ad uno stadio piuttosto avanzato. È stato uno shock per me e per la mia famiglia, ma non ci siamo persi d’animo ed abbiamo iniziato subito a fare gli accertamenti, l’intervento e la successiva terapia. Non mi sono mai sentita sola: ho avvertito forte l’amore di un Padre, anche attraverso la presenza di tanti amici, che non mi hanno mai abbandonata. Facevo il terzo ciclo di chemio, quando sono venuta a sapere che la mia vicina di casa era in difficoltà. La conoscevo, e già da alcuni anni mi ero resa disponibile a dare una mano a quella famiglia con due figli gravemente disabili. Nel nostro palazzo, infatti, stavano cambiando tutti gli ascensori, e loro abitavano al sedicesimo piano. Un giorno, la vicina è venuta a trovarmi. Non sapeva come fare a portare a scuola la figlia Cecilia: era impossibile pensare di trasportarla in braccio per tutti quei piani! Era sul punto di scoppiare in lacrime. A me è venuto subito in mente di offrire alla piccola un’ospitalità temporanea, fino a quando avrebbero messo in funzione i nuovi ascensori. Noi, infatti, abitiamo a piano terra. Mio marito ha acconsentito volentieri, e da quel giorno Cecilia è venuta a stare da noi. Un giorno abbiamo incontrato il suo maestro mentre io portavo la bambina a fare una passeggiata in carrozzella nel parco. È rimasto molto meravigliato quando ha saputo che non ero una parente, ma una semplice vicina di casa. Ma da allora, quando ci incontriamo, si intrattiene a parlare con me. Ogni mattina, aprendo gli occhi, ringrazio Dio per ogni giorno che lui mi dà. E anche per tutte le volte che viene a trovarmi attraverso i fratelli che mi manda. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi, con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo d’amore di cui egli ha bisogno. (Dall’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est, n° 18)

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