Con gli occhi di gufo

Testimoni credibili
Gufo

Non avrei mai pensato di poter amare tanto i gufi. Sì, proprio loro, i gufi, quegli strani e misteriosi uccelli notturni che vivono nei boschi. Abitanti della notte dagli occhi grandi e luminosi, talvolta rappresentati come eruditi e un po’ saccenti come il gufo Anacleto de La spada nella roccia, oppure saggi come Uffa, il gufo delle avventure di Winnie the Pooh; nelle fiabe e nelle storie della tradizione nordica misteriose e talvolta inquietanti creature.

Poi sono entrata per la prima volta in una casa speciale abitata da più di seicento gufi: gufi di stoffa, di ceramica, piccoli e grandi, che si muovono o cantano, appesi sopra le porte, appoggiati sopra le librerie. Appena possibile, dopo la messa domenicale prendevo i bambini e salivo di corsa le scale della canonica, su fino all’ultimo piano e, mentre la meraviglia di tutti quei gufi riuniti tratteneva in gola ogni parola, don Mirko ci parlava, attraverso i gufi, della speranza del Vangelo.

«Gufi e civette – ci raccontava, ricordando le parole del domenicano Louis-Albert Lassus – hanno occhi enormi per vedere nella notte. I gufi si ostinano a esplorare la notte con i loro occhi rotondi, a scrutare la notte delle cose, la notte di Dio. Perché per vedere nel buio delle tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso: allora la notte può diventare luce».

E proseguiva il suo racconto. «In quegli occhi che sanno vedere oltre ogni oscurità sta scritta indelebilmente la speranza cristiana; quella speranza che sembra vacillare ai piedi della croce di Gesù, quando tutto sembra perduto, sembra crollare di fronte a tutte le nostre croci. Quella speranza che ci viene donata all’alba di Pasqua di fronte al mistero di un sepolcro vuoto. Dobbiamo avere occhi aperti, penetranti come quelli di Gesù, pieni di attenzione, di cura, di misericordia, occhi che non si sono abbassati davanti a nessun potere, a nessun potente. Ci vogliono occhi attenti e profondi per sapere riconoscere i bisogni delle persone che incontriamo, le tracce della sofferenza su un viso, i segni dell’ingiustizia e dei diritti negati».

Il giorno che don Mirko ha dovuto lasciare la sua grande chiesa di città destinato ad altro incarico, quelle parole di speranza tante volte ascoltate e quasi apprese a memoria mi sono sembrate scolpite sui volti delle persone accorse per salutarlo, in migliaia: malati, anziani, famiglie, ricchi e indigenti, affermati professionisti e ragazzi, credenti e non credenti. Tutti, come me, si erano lasciati incontrare da quello sguardo pieno di vita e di speranza, da quegli occhi di gufo che vede nella notte.

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