Compiti a casa, un falso problema

Perché risponde ad una giusta esigenza la circolare annunciata dal Ministero dell’Istruzione che invit i professori ad assegnare meno compiti durante le feste natalizie da dedicare alla famiglia  
ANSA/LUCA ZENNARO

Compiti a casa sì, compiti a casa no: è un falso problema. Se il ragazzo non ha capito la lezione, che senso ha assegnare i compiti a casa? Se non riesce a fare ancora il disegno tecnico a scuola che senso ha assegnare una tavola da fare a casa?

Si studia e si lavora a scuola per suscitare interesse e passione, per acquisire metodo e per sviluppare capacità. Se tutto questo non si sviluppa in classe è illusorio che si sviluppi all’esterno.

Assegnare i compiti a casa a chi non riesce a svolgerli è un assurdo pedagogico. Bisogna prima mettere ogni allevo in grado di svolgerli. Solo dopo il lavoro individuale fuori delle aule può avere un senso. Il MIUR sta cercando di intervenire con autorevolezza in tale direzione. Di qui la giusta circolare sui compiti a casa del Ministro della Pubblica Istruzione

Lavori di approfondimento o di consolidamento vanno sicuramente assegnati liberamente a chi ha già avuto il dono di comprendere  ed è spinto all’approfondimento.

Assegnare compiti a casa a chi non ha ancora autonomia esecutiva e non ha ancora sviluppato il senso della responsabilità, diventa una forma di violenza esercitata sulle famiglie e sugli alunni: è come voler pretendere un salto in alto di un metro a un ragazzo che non riesce ancora a saltare i 70 cm.

Lo avevano capito bene don Milani e la Montessori i quali rivolgendosi soprattutto a una fascia che oggi chiamiamo dell’obbligo che va fino ai 16 anni, cercavano:  A – di motivare i ragazzi all’apprendimento; B- di eliminate voti e registri; C –  di mettere i ragazzi  che avevano appreso un determinato contenuto a servizio dei compagni che non riuscivano ancora; D- di lavorare insieme e apprendere insieme; E – di scoprire l’importanza della conoscenza; F – di creare rapporti di condivisione e di corrette relazioni tra gli alunni e  tra docenti e alunni.

Sergio è un ragazzo di 14 anni che frequenta il primo superiore di un istituto tecnico di una città italiana. È un ragazzo intelligente, ma emotivamente delicato tanto da avere nel corso di studi precedenti in particolari momenti problemi di linguaggio e di dislessia. Aver trovato insegnanti che lo hanno capito e gli sono stati accanto gli hanno permesso di andare avanti e non perdere la fiducia in se stesso.

Arrivato al primo superiore cambio di scena: gli insegnanti portano avanti il programma e fanno verifiche continue e il ragazzo colleziona una serie di valutazioni negative. Gli insegnanti sono solleciti a comunicare i risultati negativi alle famiglie. Il ragazzo trova molta difficoltà nei compiti a casa. La famiglia è nel panico perché non sa come aiutare il figlio che tra l’altro vive una vera crisi di rigetto della scuola. Unica soluzione trovare un docente esterno che affianchi il ragazzo nel lavoro a casa.

 È questo che una famiglia deve fare?  È questo che la Costituzione aveva previsto?

Da un po’ di tempo questa situazione in forme diverse si ripete anche in alcune scuole Medie i cui programmi sono molto vasti, per cui molti genitori sono in panne per i compiti a casa. Non così nelle elementari dove i docenti, per la loro preparazione specifica, sono più pronti a capire i problemi dell’età evolutiva, anche se la richiesta di certe prestazione (Invalsi) sta creando qualche problema anche nelle Elementari.

Forse è più che necessario che le famiglie formulino una esplicita richiesta alla scuola  in cui evidenziare quanto la Costituzione italiana e  le Dichiarazioni dei diritti degli uomini e dei bambini affermano  e chiedere altresì al corpo docente di non assegnare compiti a casa ai ragazzi che non riescono ancora a svolgerli, di non assegnare compiti nei giorni di festa, e dare la possibilità di approfondimento  solo a quei ragazzi che hanno acquistato autonomia e responsabilità personale nello studio.

Per chi invece trova difficoltà sia nell’apprendimento sia nell’esercizio della responsabilità personale, occorre una metodologia appropriata che va cercata insieme all’equipe psico-pedagogica.

Chiedere indiscriminatamente a tutti gli allievi un ulteriore impegno scolastico dopo le ore di lezioni, come oggi è in uso, è palesemente contro il principio costituzionale (Art. 3) che vuole sia la scuola a svolgere il compito, di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, anche perché la maggior parte dei genitori non è nelle possibilità di mettersi accanto ai propri figli nel lavoro scolastico.

Si comprende allora che il problema non è quello dei compiti a casa sì o no, ma come aiutare quei ragazzi – oggi sempre più numerosi-, che arrivano a scuola nella fascia dell’obbligo con grossi problemi comportamentali che si riflettono inevitabilmente nell’apprendimento.

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